E’ stato il volto della Juve che scendeva in campo e non solo, per quattro anni. E’ stato il coach che ha riportato il nome di Caserta nel Gotha del basket italiano ed internazionale. Anni, vittorie, sconfitte, numeri e conti alla mano oltre ad una figura sempre in prima linea dalla parte della Juve e di Caserta; una parte non indifferente della storia recente del club di Pezza delle Noci, ma per tutti Stefano, Pino, Sacripanti.
Partiamo da lontano: sei arrivato dopo l’anno da matricola, ma quale la molla che ti fece accettare la Juve?
«L’entusiasmo evidente negli occhi dell’allora presidente Caputo per un progetto ambizioso, per quella voglia di riportare in alto il nome di Caserta, capii che qualcosa stava nascendo e decisi di farne parte».
Alla prima apparizione arrivò: stagione di altissimo livello, playoff e quasi finale scdetto. Volendo tracciare le tappe fondamentali di quella stagione dentro e fuori dal campo?
«Fuori dal campo credo che quella stagione abbia dimostrato quanto calore ed amore questa città ha per la Juve, ma in generale può darti anche dal punto di vista personale. Arrivai con un velo di scetticismo da parte del pubblico perché ero canturino ed avevo allenato a Pesaro, per poi ritrovarmi avvolto da questo calore e bontà delle persone che dal punto di vista personale ti riempie il cuore. In campo fu una stagione semplicemente trionfale. La classica stagione dove tutte le pedine erano al posto giusto al momento giusto, tutti i giocatori si completavano mettendo in scena una pallacanestro di alto livello. Il tutto passò attraverso la riconferma di Michelori che fu un punto fondamentale o il fitto rapporto con Fabio Di Bella, ma anche attraverso pedine fuori dal campo come Claudio Coldebella, lo stesso Caputo, Salvatore D’Angelo e tutto lo staff che mi affiancavao. L’unico rammarico è quell’infortunio di Kavaliauskas».
Poi è arrivata l’Eurolega, l’Eurocup e quella Final Four mancata per un soffio…
«Nei preliminari fummo subito messi nei quartieri alti della competizione contro il Khimki, ma ci giocammo le nostre carte. Le stesse che ci portarono ad un passo dalla Final Four di Eurocup dove giocammo meglio rispetto al campionato. Tutto questo era comprovato dal fatto che quando ero in nazionale venivo riconosciuto come il coach di Caserta che aveva fatto bene in Eurocup».
Poi sono arrivati i due anni in cui le vicende societarie hanno preso il sopravvento. Che importanza hanno avuto?
«La cosa più importante da sottolineare è il come tutte le persone che si sono avvicendate in quel periodo, abbiano fatto di tutto e di più per il bene della Juve. Parlo di Gervasio che ha ricevuto la patata bollente, ma che era 24 ore su 24 impegnato a risolvere le situazioni con il preziosissimo aiuto di D’Angelo. Tutto è servito per arrivare a Iavazzi e al suo immenso lavoro degli ultimi due anni per portare la Juve nella situazione economica in cui è in questo momento. Insomma il suo di lavoro per questa squadra non dovrà mai passare inosservato».
In campo con soldi o senza soldi, con nomi altisonanti e non, la tua Juve ha sempre fatto il suo dovere. E quella dello scorso anno può essere una stagione paragonata alla prima, ovvero vale una semifinale scudetto…
«In una stagione di serissime difficoltà economiche che furono poi la base anche degli addii per Chatfield, Wise ed Akindele in un secondo momento, abbiamo tirato fuori tantissime cose partendo dai giovani Cefarelli, Marzaioli e Luigi Sergio, abbiamo sottolineato la leadership di Mordente e quella nascente di Gentile, senza dimenticare Michelori o un giocatore come Jelovac che cresceva di volta in volta e di tutti coloro con i quali ci siamo riusciti a trovare la giusta strada per arrivare ad un passo dall’ottavo posto. Personalmente è stata una stagione molto importante per me. Ho fatto di tutto affinché ci fossero i presupposti per uno come Iavazzi di essere dove è adesso».
A conti fatti, dopo Cantù quella casertana è stata la tua esperienza più lunga. Che cosa significa?
«Sono una persona che si affeziona e si lega tantissimo ai posti in cui va, ma soprattutto si lega alle persone che ne fanno parte. Caserta mi ha accolto a livello umano. Un qualcosa che mi ha colpito e che sempre mi porterà a considerare Caserta come un posto particolare all’interno del mio cuore».
Mettiamo da parte il lato cestistico, umanamente che cosa ti ha lasciato la Juve e Caserta?
«Tutto quello che mi ha dato anche dal punto di vista umano in qualche modo è legato a quello che facevo all’interno della squadra e società. Mi ha dato modo di crescere e di maturare non solo come allenatore, ma anche come uomo. Gli ultimi anni in particolare, mi hanno insegnato a lottare senza mai arrendersi, di essere sempre propositivo in mezzo alle difficoltà e di guardare avanti. Tutto quello che ho fatto a Caserta l’ho fatto mettendoci la faccia. Ho sempre fatto tutto quello che mi era possibile nell’ambito del mio ruolo per cercare di tirare il meglio da ogni giocatore in un momento di difficoltà, ma anche nell’aiutare la società a trovare la soluzione e risolvere situazioni critiche dal punto di vista economico».
Che cosa ti aspetti domenica pomeriggio?
«Non lo so, so che sono contento di tornare per rincontrare tanti amici che per tutto questo tempo mi hanno scritto messaggi o chiamato o semplicemente quando Cantù è in tv fanno il tifo perchè ci sono io in panchina. Questa città e tutti i casertani, mi hanno dato tanto durante i miei quattro anni. Emozioni forti che non si dimenticano e di cui non ho mai fatto segreto nemmeno quando sono tornato a Cantù, qui tutti sanno che Caserta per me è un luogo particolare».
Al tuo fianco, poi, ti ritroverai una persona che di Caserta ne ha respirato quanto te e con qualche anno in più ovvero Max Oldoini. Chi è più emozionato…
«Probabilmente io un minimo di corazza ce l’ho già per il semplice fatto di aver già vissuto una situazione del genere quando tornai a Cantù per la prima volta dopo la mia decisione di andare via. So quello che si prova e sono pronto. Il legame di Max con Caserta è fortissimo e quindi questa per lui potrebbe essere la situazione che io ho vissuto in passato».
PINO SACRIPANTI E LA JUVE DI OGGI
Passando al presente, di sicuro quella attuale è una Juve diversa da quella che avete affrontato al Pianella. Che te ne pare di questa nuova versione?
«Mi sembra una squadra basata su principi solidi che rispecchiano il suo allenatore Molin, che insieme al proprio staff ha avuto il merito di inculcare ai giocatore un particolare modo di guardare la pallacanestro».
In tanti avevano messo solo la salvezza come obiettivo. Ti aspettavi che sarebbe potuta crescere in questo modo?
«Il merito deve essere diviso in diverse persone. La prima ovviamente è Lello Iavazzi senza il quale in questo momento non staremo nemmeno qui a parlare. Non conosco bene Barbagallo, ma avrò modo di conoscerlo e gli faccio il mio in bocca a lupo. A seguire Molin per il lavoro tecnico che ha fatto, ma soprattutto Atripaldi. La mano di Iavazzi di scegliere un giemme di grandi qualità come Marco, lasciando che Molin si preoccupasse solo ed esclusivamente del lato tecnico, è stata importante».
Che partita ti aspetti?
«Difficile in un campo caldo e ne so qualcosa, con in palio due punti fondamentali per il futuro di entrambe le squadre».