Ventotto aprile 2013, Staples Center di Los Angeles, California, la casa dei Lakers che nell’occasione affrontavano i San Antonio Spurs nel ‘close out game’ (la partita che chiude la serie) o il ‘win or go home’ volendola guardare dal lato dei gialloviola. Sotto 3-0 al primo turno dei playoff della Western Conference Mike D’Antoni decide di ‘regalare’ l’ultimo sussulto di quella che forse potremmo iniziare a definire ex carriera Nba di Chris Duhon. Quarantatre minuti in campo dopo averne giocati 25 due giorni prima, ma soprattutto 4 in tutto il mese di aprile e 9 in quello di marzo. Alla fine Duhon lascia il legno dello Staples con 11 punti e definitivamente la California qualche mese più tardi quando la stessa società della città degli Angeli decide di tagliarlo e di non trattenerlo. Il motivo? Ovviamente molteplici. Quello che forse tutti hanno indicato per motivi di convenienza sono stati i quasi due milioni di dollari che LA ha risparmiato nel liberarsi del suo contratto. Dietro la facciata del salary cap, del ruolo di ‘veterano’ che costa non meno di un milione e mezzo di dollari, c’è chi tra gli addetti ai lavori della Nba aveva anche indicato un rapporto non propriamente idilliaco con Mike D’Antoni (che l’aveva avuto già ai tempi di New York e che se lo era ritrovato ad Los Angeles dopo la trade che aveva portato ai Lakers Dwight Howard) e una situazione fisica che alcuni addirittura consideravano non più all’altezza dello stress e degli impegni del campionato a stelle e strisce (infortunio al ginocchio nel 2008 e fastidioso problema alla schiena che lo costringevano spesso ad alzare bandiera bianca). Ed allora il divorzio è stato veloce, consensuale e senza tanti rimpianti con i Lakers e D’Antoni da una parte in California e Duhon dall’altra in Florida, Orlando, dove dai tempi dei Magic aveva costruito la sua ‘umile’ dimora che tutti possono ammirare googlando ‘Duhon’s House’. Questo l’ultimo contatto con la Nba di un giocatore che c’è entrato per la porta di servizio e dopo essersi preso il proscenio vi è uscito da quella principale dopo nove anni di carriera, quattro squadre e qualche milioncino messo da parte. Una porta che gli ultimi avvenimenti, forse hanno contribuito a chiudere definitivamente. Già perché situazione salariale a parte (quella del milione e mezzo di dollari) l’incidente che lo ha visto protagonista proprio ad Orlando in un garage dove dopo un alterco con un automobilista, Duhon si è visto quest’ultimo scagliarsi addosso con la sua Lexus nera investendolo in pieno con annesso volo sul cofano della macchina e testata al parabrezza, ha fatto il resto. Il tutto accadeva ad ottobre, accadeva dopo l’addio a giugno ai Lakers ed i vari tentativi di rientrare attraverso le strade di contratti in corsa o durante l’ultima parte dei training camp, ma niente da fare. Tanta inattività dal punto di vista di partecipazione ad una squadra, un mondo, quello della Nba che si allontanava sempre di più ed ecco la decisione di voltare le spalle e guardare dall’altra parte dell’oceano: l’Europa. Nemmeno il tempo di pensarci, nemmeno il tempo di decidere (scartando la Cina) ed ecco arrivare la classica ‘sliding doors’. Contatto per caso con l’agenzia e la voglia di tornare a mettersi in gioco, di tornare ad essere protagonista dei giornali per quello che riesce a fare con una palla a spicchi tra le mani e non per un tweet con tanto di foto e che ha fatto il giro del mondo perché spinge la sua Lamborghini gialla – sempre ad Orlando – in panne in maniera improvvisa, per la bella moglie Andrea Hernandez o ancora per essere stato investito da una macchina in un garage. Una ‘sliding doors’, quella casertana, che rimette in primo piano il talento uscito da Duke, il talento che nel 2001 lo vide salire sul tetto della Ncaa alla fine della Madness di marzo del College Americano (33 minuti di impiego, 8 punti abbondanti e 5,7 assist nei suoi quattro anni). Lo stesso talento che Chicago volle premiare nel Draft del 2004 dopo le prime sette chiamate del secondo giro scegliendolo alla numero 38. Una volta entrato, però, non ne è più uscito, anzi ha elevato sempre di più l’asticella. Quattro anni ai Bulls (nel febbraio 2008 il suo career-high con 34 punti e 9 assist), due ai Knicks (a novembre dello stesso anno piazza il record per un Knicks di 22 assist in una sola partita), altrettanti ai Magic dove firma un contratto di quattro anni a 15 milioni di dollari. All’inizio della scorsa stagione appunto spedito in California, li da dove tutto è iniziato il viaggio che lo porterà all’ombra della Reggia con un patrimonio complessivo fatto di: . 606 partite di regular season con 6,5 punti e 4,4 assist totali in carriera, ma anche 29 partite di playoffs, quelli veri. Ad aspettarlo ci saranno tifosi in visibilio per una point guard dal tiro facile ed efficace, dalla visione di gioco giusta per mettere in ritmo i compagni, dal fisico in grado di tenere pari ruolo o anche diversi di taglia diversa ed un leader silenzioso e rumoroso a seconda delle occasioni. Di sicuro una persona che non le manda a dire – chiedere a D’Antoni – ma anche una persona dall’animo nobile come dimostra la fondazione creata per la raccolta di fondi necessari per la comunità della Louisiana colpita dall’uragano Katrina (un Golf contest tra ‘VIP’ l’evento che preferisce di più e dove in genere partecipano amici, ex compagni di scuola della Salmen High School e celebrità del luogo). La stessa Louisiana da cui proviene, dove è cresciuto e che in questo momento sta ospitando il weekend delle stelle della Nba. Lui la sua proverà a riaccenderla indossando una canotta bianca e nera in un ambiente che potrebbe anche rievocargli qualche piccolo ‘shining moment’ dei tempi dei Blue Devils.