Un capitano di nome Gentile: “Brava Caserta”



Nando Gentile in maglia bianconera
Nando Gentile in maglia bianconera

“Un capitano, c’è solo un capitano”. Questo il coro che gli è sempre stato tributato. Questo il coro alzatosi insieme a quella gigantesca maglia con impresso il numero ‘5’ ed il cognome Gentile. L’eroe dello scudetto, la guida bianconera del passato e che in tempi recenti è tornato ad essere presente nella Juve grazie al figlio Stefano. Da questo pomeriggio la famiglia Gentile si ritroverà a Milano per le Final Eight con papà Nando sugli spalti ed i figli Alessandro e Stefano in campo per provare ad alzare il primo trofeo della stagione. Ed allora le previsioni, curiosità familiari, analisi di questo e del basket del passato, non potevano essere provenire dal capo famiglia, dal capitano: Nando Gentile.

Cosa ne pensa di questa Juvecaserta?



«Una squadra che ha alternato delle buone prestazioni ad altre meno buone. Un roster totalmente nuovo e giovane e quindi quasi preventivabile che avrebbe avuto qualche piccolo alto e basso, ma tutto sommato credo che abbia fatto un buon campionato fino ad ora»

C’è qualcuno che l’ha impressionata come giocatore?

«Diciamo che per il movimento cestistico italiano, sono molto contento per il tipo di spazio e stagione che stanno avendo sia Tommasini che Vitali». .

Secondo lei cosa manca per arrivare ai playoffs?

«Di sicuro di un rendimento più costante in alcuni punti e ruoli chiave del quintetto. Hanno perso un giocatore importante come Moore sostituito da Easley, ma per fare un passo in avanti hanno di sicuro bisogno di maggiore costanza».

Il suo rapporto con Iavazzi? E il suo giudizio sulla sua grande voglia di tornare a puntare sulle giovanili?

«Ho un ottimo rapporto con il presidente Iavazzi e credo che la sua decisione di fondare l’Accademy e di ridare importanza alle giovanili sia stata una decisione fondamentale per provare ad arrivare alla crescita di giocatori campani, come accadeva in passato».

 

GENTILE E LA JUVE DEL PASSATO…

 

Era a Caserta la domenica dell’arrivo di Pesaro e di Dell’Agnello e c’era anche Marcelletti. Ma in genere qual è la prima cosa che vi dite quando vi rivedete?

«Sono momenti particolari in cui provi a racchiudere tutto in pochissimo tempo. E’ chiaro che quando siamo insieme è inevitabile pensare a quello che abbiamo fatto e che siamo stati, fa parte della nostra storia e della storia di Caserta».

La prima che invece in assoluto e sempre vi dice Marcelletti?

«Niente di particolare, le primissime cose riguardano sempre la famiglia, poi viene il basket».

Tipo nell’ultimo periodo non vi ha mai chiesto perché Esposito gioca ancora e voi no?

«Ci abbiamo scherzato un po’, ma ovviamente sia io che Sandro siamo un tanti nello più anziani di Enzino che si può ancora permettere di scendere in campo».

Scherzi a parte, guardando indietro c’è un qualcosa che da giocatori osservando Marcelletti o altri allenatori pensava “Io questo non lo farò mai”?

«Difficile da dire, perché sono due momenti e mondi differenti specialmente dal punto di vista del modo di approcciarsi alla pallacanestro. Ovvio che da allenatore quando sei in panchina, provi ad approcciarti ai tuoi giocatori cercando di trasmettergli quell’esperienza che hai acquisito, ma non sempre è facile».

Troppo banale parlare di ricordi cestistici, c’è però un ricordo extra cestistico che le viene in mente quando entra al Palamaggiò?

«La gioventù. Io il Palamaggiò l’ho visto costruire pietra dopo pietra, all’interno c’ho trascorso anni indimenticabili e ogni volta che ci rimetto piede è come se tutto il nastro si riavvolgesse e tornassi indietro nel tempo».

Quando va via ha mai avuto nostalgia di uscire dal palazzetto da parte integrante della Juve?

«Siamo in un mondo di professionisti dove ogni presidente ha le proprie situazioni e le proprie idee e cosi vale anche per Caserta. Tutti coloro che hanno avuto modo di vivere e lavorare per la Juvecaserta vorrebbero tornare ad esserne parte, ma non tutto è cosi facile. Caserta, la Juve ed il Palamaggiò sono ‘casa’ mia ed è logico che mi farebbe piacere tornare ad essere parte integrante, ma il tutto dipende non solo da me, ma da tanti fattori».

 

GENTILE E LA COPPA ITALIA…

 

Da giocatore cos’era per lei la Coppa Italia?

«Un traguardo importante specie per una società come lo eravamo noi ai tempi della vittoria contro Varese. Non c’era la formula delle Final Eight, ma la sfida andata e ritorno e finale secca, forse un fascino diverso».

Pensa che oggi abbia lo stesso peso del passato?

«Di sicuro si sta rivalutando. In passato ci sono state edizioni in cui era stata un po’ snobbata a favore del campionato, ma ora sta riacquisendo la vecchia importanza».

Guardando indietro se potesse raccontare a chiunque un solo aneddoto della sua carriera legato alla Coppa Italia, quale sarebbe?

«La felicità di aver conquistato davanti a tanta gente giunta da Caserta fino a Bologna, il primo trofeo di una società giovane come la nostra. Un qualcosa che si respirava e si poteva toccare nell’aria».

Chi vince e perché?

«Difficile da pronosticare. Di sicuro Milano giocando in casa ha un bel vantaggio, ma tre partite in tre giorni e formula con sfida secca, possono essere un campo minato per tutti. Quindi davvero non saprei».

 

LA FAMIGLIA GENTILE…

 

Le va bene al primo turno, ma proviamo a fantasticare: Milano-Cantù una di fronte all’altra. Come funziona, papà fa il tifo per uno mamma per un altro, o il papà in genere si astiene ed è imparziale e la mamma fa il tifo per tutti e due?

«Proviamo ad essere quanto più imparziali possibile. Occasioni del genere ovvero vedere due figli uno contro l’altro in campo sono momenti decisamente belli e che non ti portano a pensare di tifare per uno o per l’altro. Noi in genere prima della partita diciamo vinca il migliore, anche se poi non spesso dipende solo da loro come è capitato nell’ultima partita dove ha vinto Stefano e Cantù, ma Alessandro ha giocato una bella partita».

Vi capita di fare delle scommesse ‘familiari’ in partite particolari?

«Non tantissime volte, anche perché vivendo lontani gli uni dagli altri, quando ci rivediamo tutti assieme proviamo anche a non parlare di pallacanestro, ma di tornare ad essere una famiglia normale e staccare da quella che è la routine sportiva».

Caratterialmente chi assomiglia più a lei e chi alla mamma?

«Sono due ragazzi particolari, diversi ma allo stesso tempo molto simili. Chi somiglia all’uno o all’altra non ci faccio molto caso».

Cestisticamente cosa di suo vede nell’uno o nell’altro?

«Forse Stefano per il ruolo, mentre Alessandro come carattere in campo, ma forse entrambi uniti da quella voglia di primeggiare».

Le sfide estive tra fratelli ormai sono di dominio pubblico. Lei in queste sfide estive che ruolo ha? Ne sceglie uno o in genere si sceglie un altro partner per dimostrare che il capo famiglia cestistico è ancora lei?

«Un tempo giocavo anche io, ma ora sinceramente è molto difficile competere con l’uno o con l’altro. Ogni tanto, però, la partitina ci scappa, ma in genere quando giocano contro io faccio l’arbitro».

Le è già capitato in tempi diversi quando i suoi figli erano più giovani. Ma pensa che da professionisti, per un padre sarebbe difficile allenare i suoi figli?

«Assolutamente no. Anzi poter avere la possibilità di allenare l’uno o l’altro o ancora entrambi nella stessa squadra è uno dei miei sogni più grandi».

Guardando avanti dove vede lei stesso, Stefano e Alessandro?

«Per quanto riguarda i ragazzi è ovvio che il primo pensiero è quello di un futuro sempre migliore. Negli ultimi anni stanno migliorando tantissimo sia l’uno che l’altro e questo mi fa ben sperare. Per quanto mi riguarda, non saprei. Nel mondo della pallacanestro attuale dove le squadre non mirano più a progetti, ma a costruire anno dopo anno è un po’ difficile rientrare, ma in questa vita ed in questo ambito, mai dire mai». 


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