Calma, sangue freddo e istinto da killer. Queste le indicazioni e questi gli imperativi che coach Molin ha voluto inculcare e predicare alla propria truppa all’indomani della favolosa vittoria in terra toscana dove la Juve ha letteralmente demolito Siena. Imperativi che lo stesso timoniere mestrino ha voluto che fossero ben chiari ed impressi in mente anche nel periodo di avvicinamento alla sfida senese, con ‘post it’ grande come l’intero Palamaggiò a ricordare cosa poteva succedere in caso di sconfitta. Su quel ‘post it’, ovviamente, c’erano tutte e cinque le sconfitte consecutive racimolate da Caserta nel periodo post prime tre uscite stagionali, quando lo show time e la prestazione di altissimo livello offerta contro quella che è ormai rimasta l’unica vera corazzata del torno, l’Armani Milano, avevano fatto pensare ad un traguardo già raggiunto, ad un livello del campionato italiano troppo facile per potersi impegnare fino in fondo senza spegnere la luce e compromettere, magari, il lavoro di venti minuti. Ma soprattutto tutto il nervosismo, tutto il malumore e tutto quello che si è scatenato nei confronti di un gruppo che invece godeva di massima fiducia non solo da parte di chi li allena, ma anche da parte di chi ha dato loro la possibilità di mettersi in mostra vestendo la casacca bianconera: la dirigenza. Tutti elementi che senza ombra di dubbio hanno fatto la differenza successivamente all’ira funesta di tutti dopo la sconfitta di Brindisi. Elementi che avevano fatto breccia nella calma e nel self control di Molin, nell’idea di Atripaldi di poter cambiare qualcosa, ma soprattutto di Mordente e Brooks che proprio nella sala stampa di quella quinta sconfitta consecutiva, ci avevano messo la faccia per tutti promettendo tra le righe che quello che si era visto nelle ultime cinque settimane non sarebbe più accaduto, e alla fine cosi è stato. La vittoria di Montegranaro ne fu la dimostrazione, ma successivamente i bianconeri sono stati chiamati a rispondere presenti anche ad un altro appello, quello della continuità, quello della crescita e maturità in campo e non solo quando il punteggio è in negativo o la stagione di porta a ruggire per orgoglio dopo tante batoste prese. L’unico appello a denti stretti, infatti, è arrivato a Cantù, dove la buona prestazione di continuità e macchiata da una sconfitta all’ultimo possesso poteva regalare un altro ‘presente’ a squarcia gola cosi come hanno ben udito successivamente Bologna, Varese e dulcis in fundo Siena. Tutti esami superati a pieni voti con la lode proprio nell’ultima sfida di Santo Stefano. Gli esami non finiscono mai, recitava però il titolo di una nota rappresentazione di Edoardo De Filippo. Di appuntamenti all’interno del ‘piano di studi’ della Juve ce ne sono ancora tantissimi e quello che si profila all’orizzonte è forse uno dei più importanti e non tanto perché si richiede di vincere a tutti costi, ma per una questione di affermazione. Affermazione di cosa? Ovviamente della dimostrazione che la Juve di quel periodo indicato sul ‘post it’ di cui sopra è un vecchio ricordo, un frammento di quello che questa squadra è stata e che or, invece, non è più. Dimostrazione di una squadra che ha trovato quella quadratura del cerchio in termini di equilibri tattici e tecnici: la dimostrazione di una squadra che non perde la testa se fa un errore in attacco ma prova a recuperarlo in difesa senza per questo abbassare la guardia come accadeva in precedenza; la dimostrazione di una squadra che sa come alterare il suo punto di forza, velocità e show time, al raziocinio cestistico e momenti di basket ragionato quanto meno in termini di soluzioni da adottare. Questo è quello che si vuole vedere prima di tutto, questo è l’obiettivo numero uno della lista delle cose da fare contro una Dinamo Sassari che lo stesso Molin ha sempre considerata come una delle pretendenti al titolo e che proprio nella giornata di ieri hanno ufficializzato il ritorno in terra isolana di Gordon. Il secondo? Non farsi ingannare dalle apparenze. Non lasciarsi condizionare dagli ultimi risultati o dal ruolino in parità dei sardi in trasferta: sei partite giocate, tre vittorie a fronte di tre sconfitte; ma soprattutto dalle parole di Meo Sacchetti persino dopo l’ultima sconfitta a Roma: «Nell’ultimo periodo stiamo tirando male. Non riusciamo a giocare tranquilli ed il nervosismo ci porta a sbagliare tiri facili e a volte anche aperti e che in genere non sbagliamo. In questo momento non so nemmeno se giocare ogni quattro giorni ci stia provocando qualche problema di troppo». E le percentuali dal campo o meglio dalla lunga distanza, infatti, sono la discriminante tra la vittoria e la sconfitta per la truppa sarda. L’elemento fondamentale che nelle tre vittorie è stato quasi vicino al 50% (46,9 per la precisione) e che invece è crollato terribilmente al 29% nelle tre debacle. A condire il tutto in termini di differenza, ovviamente, il numero di assist: 16,7 nelle vittorie, 11 abbondanti nelle sconfitte con addirittura 16,3 palle perse.