«Personalmente per come sono fatto di carattere, non sono mai pienamente soddisfatto. Sono una sorta di perfezionista e quindi penso sempre che si poteva fare meglio anche quando si è fatta una stagione straordinaria come la nostra. Certo ci sono dei piccoli rammarichi per qualche partita che avevamo in pugno, ma poi ti guardi indietro, guardi a quanto è stato fatto contro tutto e tutte le difficoltà che abbiamo incontrato ed il tutto forse viene ricompensato con l’idea che poteva anche andare molto peggio». Perfezionista, critico ma in maniera costruttivo, ma anche ottimista. Si presenta cosi Andrea Michelori nel commentare la stagione chiusa con la maglia della Juve. La stagione del suo ritorno dopo l’addio per i due anni a Siena dove ha visto il campo con il contagocce e da dove è tornato, purtroppo, con un piccolo malanno ovvero quella fascite plantare che non gli ha permesso di essere immediatamente al top. Ma fascite plantare o no a risentirne +è stata solo la forma verso la quale il lungo milanese si è avvicinato giorno dopo giorno con pazienza e senza strafare. In campo però l’animo è quello del guerriero, quello di chi non molla mai nemmeno per un minuto ed allora anche con un piede solo o con uno dolorante, il suo numero di maglia era sempre in prima linea per le battaglie sotto le plance. Poi per il rendimento su quella prima linea la stagione dell’ex Siena è stata divisa in due. La prima ovviamente caratterizzata da un ritorno all’attività dopo 5 mesi di stop o di ripresa e fermate ai box per il problema al piede. A Caserta ci è arrivato con voglia di rivalsa e di rimettersi in moto ed in gioco e cosi è stato. Ci sono voluti dei mesi, ma il lungo lombardo, insieme con lo staff tecnico e l’ausilio di Mimmo papa è riuscito a trovare l’equilibrio giusto, la forma giusta e quella presenza anche in termini di energia di cui tutti si ricordavano nelle sue due prime apparizioni all’ombra della Reggia vanvitelliana. Un continuo crescendo, dunque, un continuo migliorare che ha rimesso in circolo un giocatore che alla prossima annata si ripresenterà con un punto di partenza nettamente migliore di quello con cui si è ritrovato a dover partire lo scorso agosto. Un punto di partenza che rappresenta per Michelori un motivo in più per continuare a pensare positivo verso il futuro bianconero. «Al momento l’unica cosa che conta è che la società possa trovare il giusto cammino ed il giusto equilibrio finanziario. Dopo di che si parlerà di futuro inteso come squadra». Ed il futuro di Michelori potrebbe e forse dovrebbe essere ancora in bianconero, ma ormai tutto potrebbe succedere. L’unica sicurezza che il lungo milanese si ritrova in questo momento è lo stato fisico dal quale ripartire: «Il periodo di forma ritrovata che ho attraversato nell’ultimo periodo mi ha regalato un senso di fiducia immenso. Purtroppo all’inizio di questa stagione ho faticato tantissimo per i problemi di fascite plantare e per un periodo di inattività che mi ha limitato parecchio. Ora però questi problemi so superati, tutto è tornato alla normalità e sono pronto a dare tutto sin dall’inizio cosi come ho sempre fatto. Ora lavorerò in estate per non perdere questa forma e per non restare indietro e quindi essere subito pronto».
Settimana dopo settimana, poi, sembravi aver ritrovato anche un certo feeling con il campo…
«A Siena mi veniva chiesto di fare altro specialmente fuori dal campo. Qui a Caserta ho ritrovato quella fiducia e sicurezza cestistica che forse mi era venuta un po’ meno».
Fiducia ricompensata anche da tutti quegli applausi a fine partita con Reggio e che hanno chiuso la stagione…
«E’ stato il giusto epilogo di un anno travagliato per noi e per i tifosi, ma nel quale nonostante tutto ci siamo tolti tantissime soddisfazioni. Ne volevamo regalare ancora una all’ultimo appuntamento in casa davanti ai nostri tifosi con Reggio, ma ci siamo arrivati ad un passo. Purtroppo la stanchezza è stata più forte del cuore e della grinta. Perdere è stato un peccato, ma poi l’abbraccio dei tifosi è stato un qualcosa di veramente emozionante».
Quale il dato più importante dimostrato quest’anno?
«Il grande senso di attaccamento alla città, alla maglia e al basket. Un grande senso di professionismo non solo da parte nostra, ma anche da parte dei più giovani che giorno dopo giorno hanno risposto presente e si sono impegnati con dedizione per mantenere alto il livello e l’intensità degli allenamenti quando eravamo ridotti all’osso. Il tutto è stato amalgamato ed unito dalla voglia di alcuni di rimettersi in gioco, di farsi notare o di porre le basi per una carriera, ma soprattutto l’orgoglio di dimostrare che non eravamo la vittima sacrificale di nessuno con gli addii di Wise e Chatfield prima ed Akindele poi. Un senso di orgoglio cestistico che ci ha portato a spingerci oltre gli ostacoli e oltre i nostri stessi limiti. Concludo dicendo che la ciliegina sulla torta sono stati i tifosi sempre calorosi e Sacripanti che dal suo lato ci ha sempre regalato quel modo per smorzare la tensione derivante dalle difficoltà».
Ora che puoi valutare a mente fredda quanto il vostro gruppo di italiani insieme a Mavraides, Jonusas e Jelovac, ha fatto in questa stagione come lo valuteresti?
«Sinceramente non mi sorprende più di tanto. Sinceramente ho sempre pensato che nonostante si dica e si operi per portare stranieri nelle squadre per il talento, il vero trasporto proviene sempre dal gruppo di italiani che puntualmente però hanno un ruolo da gregari. Con questa nostra stagione, invece, abbiamo dimostrato che il tutto può essere anche al contrario e magari anche non nei momenti di difficoltà come il nostro. Se possiamo essere un esempio per il futuro? Assolutamente si».