Questa sera a partire dalle 23.10 il programma ‘Sfide’ (Raitre) proporrà uno speciale sulla conquista dello scudetto della Phonola Caserta. A raccontarla ci sarà Roberto Saviano che ne anticipa i contenuti in una intervista rilasciata alla Gazzetta dello sport.
«Nel ’91 avevo 12 anni. Veder vincere quella squadra, composta da ragazzi del posto, cambiò la percezione del territorio. Fu una riscossa. Significò che qui il talento può avere uno sbocco; che esiste una realtà che non ha bisogno dell’aiuto di un politico, ma vince con le proprie forze; che non si è solo una provincia sconosciuta in mano alla malavita. Lo stesso vale per le medaglie olimpiche prodotte a Marcianise in palestre puzzolenti di scuole medie che nessuno crederebbe esistano ancora».
Lei le conosce bene avendole frequentate.
«Da ragazzo ho praticato basket, boxe e anche pallanuoto, ai tempi del Volturno, ma senza eccellere. Per il basket sono alto appena 1.70 e tiro male; a pallanuoto m’ispiravo a Manuel Estiarte, un genio: ero alto quanto lui e magro,maevidentemente non è bastato. Nel pugilato ho avuto uno dei migliori allenatori al mondo,Mimmo Brillantino, maestro di campioni olimpici. All’inizio anche lui credeva in me, poi un giorno mi ha fatto sorridere dicendo: “Robbe’, mi sa che devi soltanto scrivere”, come a dire che il ring lo avrei potuto frequentare esclusivamente per migliorare il fisico».
È quello che continua a fare?
«Se non mi allenassi, sarei finito. La mia vita è declinata in due sole espressioni: o esisto in pubblico – su un giornale, in tv – o non esisto, perché sono rinchiuso, blindato. Fare sport è l’unico modo che ho per sentire di essere reale, non solo una foto o un video su YouTube. Faccio boxe da anni. Con difficoltà, vedo ogni tanto Brillantino; mi sono allenato per un po’ grazie alla polizia nella palestra degli atleti olimpici. Continuo a essere un pessimo boxeur, ma a volte penso che, se dovessi mai affrontare su un ring un collega scrittore o giornalista, beh avrei buone speranze di vincere».
Nello scudetto di Caserta c’è lo stesso spirito di Leo Messi: nulla è impossibile.
«Mi attirano le sfide impossibili. Non amo lo sportivo perfetto. Cristiano Ronaldo, per dire, non mi piace: carino, con il muscoletto e il tocco giusto. A me piacciono gli sghembi: Garrincha, Eusebio, Maradona. Uomini che hanno avuto difficoltà fisiche, sociali e lo sport ha salvato; persone che hanno dimostrato che ce la si può fare. Guardare a queste storie mi ha sempre dato coraggio: sono costellazioni che aiutano a navigare nel quotidiano».