Oggi avrebbe compiuto 79 anni. Franco Palumbo era un giovane talento quando, a 18 anni, fu tesserato dal Gladiator di Santa Maria Capua Vetere del presidente Marrocco. Il “piccolo” Palumbo stava realizzando il suo sogno. Il calcio era la sua passione, la sua felicità. E al calcio aveva dedicato i giorni migliori della fanciullezza e della gioventù. Con i nerazzurri sammaritani restò alcuni anni, fino al 1962. Ebbe un grave infortunio e saltò un’intera stagione. Nella sua ultima annata con il Gladiator l’allenatore era Romagnoli, il presidente Rossetti, suoi compagni di squadra erano, tra gli altri, Di Giovannantonio e Buttini.
Il suo esordio nel campionato Interregionale non passò inosservato tant’è che nell’agosto del 1962 fu acquistato dal Savoia, squadra di Torre Annunziata, una delle società più antiche dell’Italia meridionale. In maglia biancoscudato lo volle, fortemente, l’allora presidente Lello Pagano. Esordì con la maglia del Savoia a Poggiomarino, precisamente il 14 ottobre del 1962. Fu un esordio vincente. Il campionato era quello di Prima Categoria, che è stato il V livello del campionato italiano (paragonabile al campionato di Eccellenza di oggi). Il Savoia di Palumbo arrivò quarto in classifica. L’allenatore era Ercolino Castaldo. Il campionato fu vinto dalla Battipagliese.
L’anno successivo il talento di Palumbo esplode in tutta la sua grandezza. Centrocampista elegante ma di sostanza, riuscì ad esprimere nella concretezza il suo valore assoluto di campione eclettico dal palleggio sontuoso eppure sbrigativo per le sue progressioni in area avversaria. Da leader vero (divenne capitano della squadra oplontina) portò la squadra alla vittoria del girone B, con otto punti di vantaggio sulla Turris, conquistando, così, il diritto, assieme alla Caivanese e alla Cavese, di giocarsi la promozione in Serie D allo stadio “San Paolo” di Napoli. Ma non è finita. Palumbo ed il Savoia, al termine delle quattro partite disputate, sono primi in classifica per l’immensa gioia dei tantissimi tifosi torresi presenti allo stadio. E’ serie D. Quell’anno il Savoia alza al cielo anche la Coppa Italia. Da capitano, a soli 23 anni, il pignatarese Franco Palumbo vince campionato, spareggi e coppa Italia. Con la maglia di una delle società calcistiche più antiche. Fu un’annata in cui sulla panchina si avvicendarono prima Castaldo, poi Manola, infine Pesaola (in panchina dalla 20^ alla 30^ giornata di campionato). Spartano con l’uruguaiano Lopez guidarono il Savoia nelle quattro gare degli spareggi. Anche Bruno Pesaola stravedeva per Palumbo. Quando il “petisso” l’anno successivo passò ad allenare il Napoli (in Serie B) era intenzionato a portare con lui il giovane Palumbo. Il passaggio non si concretizzò, il Napoli puntò su Totonno Juliano. Gioirono i tifosi torresi che ebbero modo di godersi ancora il centrocampista pignatarese, un po’ meno Palumbo che perse l’occasione di affacciarsi nel calcio dei “grandi”.
I tifosi biancoscudati impazzivano per Franco Palumbo, uno dei migliori centrocampisti della categoria. Lo chiamavano Palummiello. Sì, lo chiamavano così, affettuosamente, quel giovane piccolo di statura ma gigante sul rettangolo di gioco. Di testa e di cuore.
Ci è stato raccontato che nel corso di una partita (contro il Santa Maria di Castellabate) Palumbo si presentò dagli undici metri per calciare un rigore assegnato al Savoia. Al momento di calciare il pallone fu costretto a tenersi con le mani il pantaloncino in quanto si era rotta la molla che lo reggeva. Altri tempi.
Il legame tra Palummiello ed il Savoia appare indissolubile. L’anno successivo, 1964-65, in Serie D, il capitano Palumbo è ancora protagonista di un campionato di altissimo livello. In panchina ci sono sempre Spartano e Lopez. In campo, Boesso, Milano, Berlasso, Rossi, Padovani guidati da Palummiello. Il presidente Lello Pagano lasciò il posto a Peppe Russo, che a soli 28 anni fu capace di costruire una squadra di grande valore. Risultato? Campionato vinto, per il secondo anno di fila. La città di Torre Annunziata impazzì di gioia. I giocatori sono portati in trionfo. Il Savoia ritorna in Serie C.
Nel 1965 la società passa nelle mani di Franco Faraone Mennella, che consegna nelle mani di una nuova coppia di allenatori, Giglio e Blason, una squadra pronta per lottare per il vertice della classifica. Qualcosa, però, non funziona. I biancoscudati vanno male. Il presidente è costretto a richiamare in panchina il duo Spartano-Lopez ma la classifica non migliora. Nel girone C di Serie C il Savoia conclude il campionato al penultimo posto, al pari del Nardò. Le retrocessioni sono due per girone. E oltre al Chieti, ultimo in classifica, una tra Savoia e Nardò dovrà lasciare la Serie C. Lo spareggio si gioca a Roma. I biancoscudati perdono per uno a zero. E’ una retrocessione che fa male. Palumbo lascia il Savoia dopo quattro anni, con 115 presenze e 13 reti. Il 22 maggio 1966, al vecchio “Comunale” saluta, tra le lacrime, compagni e tifosi. Palummiello, resta il capitano del Savoia per eccellenza. Nessun altro nella storia della società di Torre Annunziata è riuscito ad indossare la fascia di capitano per tre anni consecutivi. Franco Palumbo, che quella fascia l’ha portato con orgoglio e dedizione, ancora oggi, è considerato un pezzo della gloriosa storia del Savoia. “E’ stato soprattutto un grande uomo, corretto, leale – queste sono le parole di Ernesto Milano parlando di Franco Palumbo – di forti valori, molto attaccato alla famiglia. Apprezzato e rispettato da tutti come calciatore. Tecnicamente molto bravo, Sfrontato e tignoso non si è mai risparmiato e da capitano vero ci ha guidato in tante battaglie. Ho giocato al suo fianco, con il Savoia dal 1963 al 1965, vincendo due titoli più una Coppa.”.
Palumbo si accasa alla Maddalonese che disputa il campionato di Prima Categoria (paragonabile al campionato di Eccellenza di oggi, come già riportato in precedenza). Vince il suo terzo campionato consecutivo. Ancora una volta da capitano. La formazione casertana è ammessa alle finali regionali, per accedere alla Serie D, con il Portici (vincitore del girone B) e la Paganese (vincitrice del girone C). Ne passano due. Si gioca al “San Paolo” di Napoli. Al termine delle due partite la Maddalonese ottiene due punti grazie alla vittoria sul Portici, ed assieme alla Paganese vola in Serie D. A casa Palumbo ancora si custodisce gelosamente un vecchio pallone di cuoio riportante questa scritta “A Palumbo come miglior giocatore delle finali”. E ci piace anche ricordare come per tantissimi anni sulle mura dello stadio di Maddaloni sono rimaste indelebili due parole, “San Palumbo”.
Nel mese di luglio del 1970 Franco Palumbo convola a nozze con la signora Alba e alcuni giorni dopo viene tesserato dalla Barrese (Barra è un quartiere orientale della provincia di Napoli). La squadra napoletana punta a vincere il campionato di Promozione (corrispondente dell’Eccellenza di oggi) e si accaparra le prestazioni del forte centrocampista pignatarese. L’obiettivo sarà centrato. La Barrese conquista il campionato con nove punti di vantaggio sul Gladiator. Palumbo raggiunge l’ennesimo titolo. Riuscendo a conciliare lavoro (insegna educazione fisica) e calcio.
A 32 anni Palumbo decide di smettere di rincorrere un pallone, ma non prima di regalarsi l’ennesimo successo. Chiude con il calcio giocato da par suo, da vincente. E lo fa con la Sessana, anno 1971-72. C’è un aneddoto che la signora Alba ama spesso ricordare (anche per far capire quanto il suo adorato marito fosse “malato” di calcio): nacque il primogenito, Antonio, a settembre, e si decise di battezzarlo una domenica di ottobre. Franco, però, aveva una partita da giocare. Allora cosa fa. Si presenta allo stadio, vuole giocare solo il primo tempo e poi scappare dai suoi cari. Non può assolutamente mancare al sacramento d’ingresso del figlioletto nella Chiesa cattolica. Promette ai compagni che a lui basteranno quei quarantacinque minuti per realizzare due reti e correre, in tempo, in chiesa. E così fu. I suoi compagni furono increduli. L’esultanza e l’emozione fu tanta e prolungata che Palumbo fece fatica a liberarsi dell’immenso abbraccio dei compagni e a svignarsela in tutta fretta.
Appese le scarpette al chiodo si dedicò per qualche anno alla famiglia. Ma il richiamo del rettangolo di gioco, per uno come lui, era troppo forte. La sua voglia di trasmettere ed insegnare calcio lo travolse e iniziò la sua carriera da allenatore con il Portico di Caserta. E’ stato anche per due anni allenatore del Capua, portandolo dalla Prima Categoria alla Promozione, dal 1977 al 1979. Da subentrato allenò, nel 1981-82, il Tre Pini Pignataro. La squadra andava male ma con l’arrivo di Palumbo ci fu un’inversione di tendenza. Il Tre Pini arrivò secondo in classifica grazie ad una striscia di 15 vittorie e due pareggi. In quella squadra c’erano i pignataresi Aurilio, Taliento, Pettrone (Corvo), Pettrone, Feola e D’Onofrio. Dopo qualche anno Palumbo vinse nuovamente il campionato di Prima Categoria, con il Sant’Angelo in Formis. Diventò uno degli allenatori più cercati. Fu molto amato a Lusciano, a Teano. Sedette anche sulla panchina del Mondragone. Indimenticabili, poi, i suoi quattro anni alla guida del Pietramelara. Vinse un campionato di Promozione stabilendo il record di imbattibilità casalinga. Nel 1995 portò il Vairano Scalo in Promozione, l’anno seguente era a Vitulazio, in Promozione. Ha allenato solo in provincia di Caserta perché volle mantenere un equilibrio tra la sua passione e la sacralità della famiglia.
Palumbo ha trascorso gli ultimi anni da allenatore nella natia Pignataro. La sua carriera si fermò nel 2005. Il Pignataro partecipava al campionato di Promozione. Dopo 4 partite tutte vinte (due in Coppa Italia e due in campionato) il professore lasciò l’incarico per motivi personali.
Franco Palumbo, nella sua carriera di calciatore prima ed allenatore poi, ha vinto tanto. Resta uno degli sportivi più titolati, a livello calcistico, della provincia di Caserta. Ha dato lustro a Pignataro, suo paese di origine. E ci auguriamo, con tutto il cuore, che Pignataro non dimentichi la figura di Palumbo, un figlio di questa terra che ha rappresentato, per essa, un’eccellenza. Il professore non lo merita.