Sofocle non è poi così lontano; togliete Caserta, la gara con Nardò appena finita, e mettete Tebe, la “Guerra dei sette”, e i corpi ancora sul campo di una battaglia fratricida ed intestina.
Niente, meglio dell’Antigone di Sofocle, può spiegare quanto Caserta si sia fatta del male da sola e quanto oscuro può essere il futuro. Non è certo la macchia della discendenza di Edipo (ma forse quella della precedente società). Ma la sconfitta è di sicuro figlia di una squadra che è implosa nel rispetto delle sue leggi scritte: quelle della carriera e del talento. Ma ancor di più, di quelle NON scritte di un ambiente che, indeciso se amare o odiare questi colori, è rimasto muto a guardare la carneficina ordita dai neretini, a cui sono bastati 12 dardi ben assestati da lunga distanza.
Come Creonte sarebbe rimasto ignaro ed ignavo alle richieste di Antigone di coprire, nonostante tutto, anche il fratello morto da invasore, così chiunque sia rimasto a casa, indifferente a questa squadra, è nondimeno responsabile di un fallimento colossale.
Ed il campo di battaglia resta ancora insanguinato, perché non ci saranno suicidi eccellenti che daranno a Tebe un nuovo corso.
Anzi si cercherà di ammantare il tutto sotto la brina del passato e di ambire a sogni di gloria.
I creonte di questo mondo, però, che siano in campo, in panchina o in tribuna, sono e saranno sempre dei tiranni e, finché la loro legge sarà esecutiva, quelle leggi non scritte del campo e del fuori resteranno solo lettera morta di un passato che va coperto.
Ancora una volta, Caserta deve fare la conta dei superstiti, deve ripartire, ma non può e non deve dimenticare il passato, sia quello glorioso che quello della truppa di Nardò, che senza il suo miglior giocatore si prende lo scalpo della prima della classe.
Non serve peccare di tracotanza né avere grandi festeggiamenti, serve trovare un giusto compromesso tra una buona squadra, magari giovane e che possa crescere, anche col tempo, insieme ad una nuova società che abbia solo una cosa in comune col passato: il bianconero ed il palamaggio’. Perché a Tebe, dopo la guerra fratricida, le “7 porte di Epaminonda” erano ancora in piedi, mentre a Caserta, reggia a parte, sembra che la storia debba cedere sempre il passo al presente, anche se questo è fatto di costruzioni rabberciate e destinate a cadere, come castelli di carta.
Domenico Landolfo