«Non credo che quella appena chiusasi sia una stagione che possa essere fotografata in una sola immagine. Ci sono stati tanti momenti particolari ed importanti che possono racchiuderla come le due vittorie contro Siena, la vittoria in casa contro Cantù quella a Sassari o la prima in assoluto con Venezia e contro mio fratello e questo la dice lunga sui che tipo di stagione abbiamo fatto sia dal punto di vista personale, che soprattutto dal punto di vista di squadra, nonostante l’amarezza finale, credo che nessuno possa dire che quella della Juve sia stata una stagione positiva e d in cui abbiamo fatto tanta roba». Ha esordito cosi nel commentare la stagione bianconera uno dei protagonisti in tutto l’anno, Michele Vitali. Una presenza quasi costante con qualche alto e basso fisiologico per un giocatore che veniva dai piani bassi del basket tricolore e che si affacciava per la prima volta sul principale panorama cestistico italiano. Tutti l’avevano definito una scommessa, la stessa che a conti fatti possiamo definire vincente da parte della società, ma soprattutto di coach Molin che gli ha saputo infondere fiducia e a sua volta fidarsi di quanto il bolognese potesse produrre in termini di numeri, ma anche di personalità su ambo i lati del campo.
Quindi volendo tracciare un tuo personale giudizio su queste 30 giornate di campionato, come descriveresti l’annata di Michele Vitali?
«Credo positiva e soprattutto per un verso. Quando sono arrivato qui a Caserta era ovvio che la mia dote e la mia pericolosità maggiore derivava dal tiro dalla lunga distanza. Quello è stato, quindi, il mio punto di partenza verso un continuo crescere come giocatore. Nel momento in cui durante la stagione ho avuto difficoltà con le percentuali ho fatto il passo in avanti che mi era stato chiesto ovvero quello di non affidarmi solo al tiro da lontano ma anche ad altri aspetti del gioco come l’uno contro uno. Un processo che mi ha portato, come ho sempre avuto modo di dire durante l’anno, ad aumentare il raggio di pericolosità del mio gioco e tutto questo grazie anche e soprattutto alla fiducia che il coach ed i miei compagni mi hanno sempre dimostrato».
Tra i tanti passi in avanti che hai fatti, questa fiducia incondizionata che ti sentivi arrivare, ha inciso anche sulla personalità con la quale eri in campo, oppure quella già la tenevi?
«Senza peccare assolutamente di presunzione, credo che la personalità in campo l’ho sempre messa, poi il suo aumentare assolutamente dipende da quello che ti sta intorno e quindi la fiducia di cui si parlava in precedenza».
La decisione di coach Molin dopo il periodo buio delle cinque sconfitte di invertire i ruoli nelle gerarchie tra te e Mordente, passando dal quintetto alla panchina, quanto ha inciso sulla come svolta nella tua stagione?
«Non penso che sia stata una svolta, particolarmente per il fatto che non tengo molto al come si parte per stare nella partita. Quello che conta è esserci ed esserci più preparati possibile quando il coach si gira e ti chiama. Il giocare con Marco, quella si che è stata una svolta importante».
Dopo questa stagione che in termini di intensità forse vale anche qualcosa in più di una, ti senti come un aggiunto alla lista dei veterani bianconeri per luogo, staff ed anche campionato? Una sorta di veterano ‘junior’ al fianco di Mordente e Michelori?
«Sarebbe davvero un bel complimento essere considerato come tale. Ma comunque ci provo. Quella chiusa era la mia prima stagione e ho fatto tanti passi in avanti. Partire da tante conoscenze di sicuro ti avvantaggia e questo non può che essere un bene. Si ripartirà da un gruppo ben assortito e questa è una grande cosa e sono convinto che ancora una volta il tutto verrà completato ancora una volta con persone prima ancora che giocatori come quest’anno».
Ora che la stagione di club è terminata, quanta della tua concentrazione è per la maglia azzurra?
«Diciamo che ci spero. Ora torno ad allenarmi qui a Bologna per farmi trovare pronto per l’estate, qualsiasi sia la direzione azzurra da prendere».