SAN TAMMARO – Pasquale Bovienzo allarga i propri orizzonti. L’allenatore casertano di San Tammaro, appassionato a 360° del calcio e studioso di nuove metodologie di allenamento, ha lasciato il settore giovanile del Benevento, insieme al suo staff tecnico, dopo tre anni di successi nelle categorie Under 16, Under 17 e Primavera. Nella stagione appena conclusa ha ottenuto una storica qualificazione ai play-off con la massima categoria giovanile, centrando in tre anni altrettanti accessi alla fase post-season. Da qui la decisione di compiere uno step in più ed allenare una prima squadra. Rende e Vibonese in Serie C, Messina, Locri e Castrovillari in Serie D tra le proposte vociferate dai rumors ma l’allenatore sin da maggio aveva dato la parola al Campobasso, al centro di un progetto di affiliazione con il Benevento. Sembrava tutto fatto, poi la manovra inqualificabile di una parte della dirigenza ha condotto ad un’altra scelta tecnica ed è sfumata l’opportunità. Nel frattempo l’allenatore, che ha conseguito il patentino Uefa A (che permette di allenare fino alla massima serie) nel 2017 a Coverciano sotto la supervisione di Renzo Ulivieri ed al fianco di celebri calciatori come Esteban Cambiasso, Giuseppe Mascara e d Enzo Maresca, non è riuscito a concludere altri accordi ed ora è in fase di attesa. Ai nostri microfoni, il promettente trainer di Terra di Lavoro sviscera tutti i temi più importanti della sua esperienza a Benevento, dello stato d’animo per l’affare sfumato a Campobasso, le relazioni con la famiglia Vigorito, Diego Palermo e Pasquale Foggia e tanto altro, mettendo sempre in primo piano la sua metodologia di studio e con l’augurio che il Benevento torni presto in Serie A. Ambizioni, stati d’animo, sacrifici, gioie, dolori ed emozioni di un talento tecnico che aspetta di confrontarsi in prima squadra per spiccare il volo verso i palcoscenici che merita.
Da poco è terminata l’esperienza con il settore giovanile con il Benevento. Ci hai riflettuto su questa tua decisione, cosa ti ha lasciato l’avventura in maglia giallorossa?
“E’ stata una formazione sia umana che professionale, che non sarebbe stata uguale in altri posti od ambienti. Ho fatto un tipo di gavetta molto più pulita rispetto a quella che fanno molti miei colleghi. Sono molto fortunato per aver ricevuto questa chance perché, in seguito al Corso Uefa B che ho svolto a Benevento, loro erano alla ricerca di un allenatore. Chiesero informazioni e uscì fuori il mio nome, da lì la famiglia Vigorito e Diego Palermo mi hanno concesso una grandissima chance. L’esperienza è divisa in due parti, perché all’epoca andai via per disguidi con l’allora responsabile. Mi trasferìì ad Aversa, poi mi sono dovuto curare a causa di una malattia grave dalla quale sono pienamente guarito. Son tornato ad Aversa, seguì Caserta e poi questi splendidi tre anni, con l’Under 16, l’Under 17 e la Primavera del Benevento, con il gruppo 2001. Siamo cresciuti insieme, è stata un’esperienza forte dal punto di vista emotivo. Insieme al mio staff abbiamo raggiunto un’enorme crescita, infatti alla fine siamo arrivati alla conclusione che era giunto il momento di fare un passo diverso. Lo abbiamo dento da sempre, vogliamo provare a cimentarci in prime squadre, vogliamo provare ad inseguire questo sogno di crescere ancora di più”.
Come hai vissuto l’avventura con la Primavera nella stagione appena conclusa?
“Come ho vissuto tutte le precedenti. Ero un esordiente in ogni categoria. Inizialmente in Under 16 di Lega Pro, poi in Under 17 di A e B e l’anno scorso in Primavera mi dicevano che era sempre più difficile perché il livello si alzava e così è stato. Con lo staff abbiamo da sempre affrontato ogni momento insieme, con la serenità, con il lavoro, con lo studio, con la voglia di migliorarci sempre. Sbagliando ma raggiuggendo sempre degli obiettivi importanti. Lo scorso anno è stato molto difficile, ma non per la forza degli avversari perché ce la siamo giocata con tutti. Eravamo molto ma molto più giovani delle altre squadre, tra i più giovni d’Italia insieme alla Roma. La passata stagione la categoria era riservata a ragazzi classe ‘99 e 2000, mentre noi scendevamo in campo regolarmentre con sette ed otto 2001. La soddisfazione più grande è quella di aver centrato l’obietivo essendo molto sotto età, infatti abbiamo preparato molti giocatorini che possono aspirare a qualcosa di importante”.
Hai centrato i play-off con la Primavera: un importante riconoscimento per il team sannita. Sei contento di aver dimostrato di stravolgere le regole, in primis dell’età, ma ottenendo un traguardo storico?
Il progetto era partito con l’intento di giocare sotto età e poi preparare una squadra pronta quest’anno. Progetto più mio che loro, perché ogni volta che firmo e come se firmassi a vita. Quando fui incaricato di guidare l’Under 16, nella mia testa intendevo concludere il ciclo con due anni di Primavera. Era questo il mio progetto, iniziare il primo anno di Primavera con tutti ragazzi sotto età, prepararli e poi giocare alla pari quest’anno, con un gruppo che aveva giocato tre anni insieme ed aveva svolto un primo anno di Primavera. Ci siamo fermati al terzo anno, perché ci siamo resi conto che i ragazzi erano già cresciuti. Non avevano più bisogno di fare questo anno di prmabera, e quindi chi è andato in Serie C, chi in Serie D, chi orbita nella rosa della prima squadra. Si è cercato di far migliorare questi ragazzi per ampliare contatti, in maniera tale da farli crescere diversamente, mentre altri resteranno nell’ambito della Primavera. Era nata l’opportunità Campobasso ma purtroppo è sfumato tutto, quindi sia io che i ragazzi abbiamo scelto strade diverse”.
Quali sono i ricordi, gli aneddoti più belli del triennio a Benevento?
“Del triennio ricordo con emozione soprattutto le partite che ci hanno condotto al raggiungimento dell’obiettivo, quelle che ci hanno dato la matematica dei play-off, che erano insperati ogni anno. Su tutte cito la vittoria a Trigoria (centro sportivo della Roma ndr) con l’Under 17. Eravamo noi secondi contro i primi, con sei punti di distacco, con quel trionfo in trasferta abbiamo messo paura alla squadra più forte d’Italia, infatti alla fine ha vinto lo scudetto per l’ennesima volta. Era un campo molto sentito da parte mia e della mia famiglia per ragioni storiche. E poi menziono l’esperienza di Viareggio, dove abbiamo fatto una grande bella figura, e la vittoria col Livorno in casa: è stata la partita da dentro/fuori che ci ha permesso di ragiungere per il terzo anno consecutivo l’obiettivo”.
Quanto ti senti grato alla famiglia Vigorito, a Diego Palermo, a Pasquale Foggia, ed alle persone con cui hai condiviso il ciclo sannita?
“Parto da una considerazione. Purtroppo in Italia chi non ha giocato in Serie A o tanti in Serie B fa molta più difficoltà a farsi conoscere come allenatore. Il sistema è fatto così, dobbiamo accettarlo senza criticarlo. Io ho vissuto una carriera da calciatore con tanta Serie D ed un po’ di Serie C, ho avuto un po’ di fortuna per trovare questa strada e conoscere la famiglia Vigorito, poi sono stato bravo a meritarla la foruna anno dopo anno. Devo tutto alla famiglia Vigorito. Devo tutto quello che sono, devo tutto quello che ho guadagnato. Se sette anni fa non mi conosceva nessuno ed ora mi conoscono, lo devo a Oreste Vigorito ed a Diego Palermo. Per quanto riguarda Pasquale Foggia, è un amico di vecchia data. C’è una stima reciproca umana e professionale, penso che insieme si possano fare grandi cose. Quando c’è grande stima sia professionale che umana, credo che le cose vadano decisamente meglio”.
In questi anni hai lavorato con il settore giovanile ma sei sempre stato a stretto contatto con la prima squadra. Come hai vissuto il fatto di essere parte integrante del progetto?
“Dipende dall’allenatore; ne ho visti diversi passare. Con i calciatori ho avuto un ottimo rapporto, vivevo a Benevento ed ero spesso a seguirli. Poi dipende da come ti ci poni, per fortuna abbiamo trovato gente sempre molto disponibile. Tra tutti abbiamo avuto un ottimo legame con Roberto De Zerbi che andremo a trovare appena il Sassuolo rientra dal ritiro. C’è stato uno scambio di idee, un confronto giornaliero molto importante per noi e questo è stato utile a noi per capire quali sono le dinamiche di gestione di una prima squadra”.
Vicenda Campobasso. Alla fine della scorsa stagine decidi di porre fine al settore giovanile di Benevento ed entrare nel mondo delle prime squadre. Una scelta che hai fatto subito o su cui sei arrivato man mano?
“Non è che arriva il momento e lo avverti. Era arrivato anche quattro anni fa con l’opportunità Gladiator ed anche dopo la fine della carriera da calciatore, perché nell’ambiente ero conosciuto. Io sono stato sempre dell’idea che in un posto ci devi arrivare quando sei pronto per non scendere più. Ho sempre voluto non bruciare le tappe, basti pensare che tre anni fa potevo già guidare la Primavera ma ho preferito l’Under 16, perchè volevo costruirmela da sola. E’ un pensiero mio e dello staff quello di non bruciare le tappe ed anzi di arrivare in un posto quando si è convinti di essere pronti. Quando è arrivata la possibilità Campobasso, è normale che ci sono dei tentennamenti. Perché quando si esce dalla zona di comfort, ti mancano le basi sotto i piedi. Abbiamo pensato un po’ quali erano i pro ed i contro ed abbiamo accettato. Poi è successo quello che è successo e ci siamo trovati in ritardo per valutare nuove proposte”.
Quanta delusione per l’epilogo dell’esperienza Campobasso, che sul più bello non ha perfezionato un accordo di partnership con il Benevento per i movimenti maldestri di alcuni dirigenti?
“Ci ha dato fastidio per due aspetti. In primis perchè era un momento cruciale. Avevamo già declinato altre offerte, perché c’era questa soluzione come accordo con il Benevento che era giusto proseguire. Soprattutto poi per un fatto umano. Era infatti già un mese e mezzo che vivevo l’ambiente insieme allo staff. Siamo andati lì spesso a visitare la sede del ritiro, le strutture, conoscere le persone che avrebbero lavorato con noi, i tifosi erano contenti dell’affiliazione tra Benevento e Campobasso. Era nato un gran finale con la parte della società che voleva questo accordo, com il direttore Minadeo, il direttor generale Filippo Pulcino, il presidente Cercelli, e questo ha fatto ancor più male. Si prevedeva un‘annata importante ed emozionante grazie al clima che si stava creando tra di noi. Però il calcio insegna che questi accadimenti sono dietro la porta. Dopo un piccolo periodo di abbattimento, ora siamo già pronti a ricominciare e valutare qualsiasi cosa”.
In questo periodo sono state le società che hanno pensato a te, tra Serie C e Serie D. Occasioni perse perché la parola di Pasquale Bovienzo è sacra?
“C’è una differenza tra pensare a Bovienzo e contattare per farlo firmare. Dico la verità, le telefonate di solidarietà dopo quanto avvenuto a Campobasso sono state tantissime. Mi hanno meravigliato molto di più quelle che le sette, otto chiamate rivecute per firmare ed essere contrattizzato. Inutile fare i nomi della società che si sono interessate, ma posso dire che siamo stati su più tavoli. Poi per vari motivi, per mancata fiducia di qualche società in merito alla giovane età, sul fatto di essere esordiente in categorie importanti ed un po’ dalla mia mancata sicurezza su alcuni ambienti e società, allora abbiamo deciso di aspettare tempi migliori”.
Oltre all’esperienza sul campo, hai studiato ed accresciuto le competenze con il conseguimento del patentino UEFA A. Quanto credi sia imporante studiare?
Fondamentale. Ma non per la mentalità che spesso dicono che si deve studiare perché il calcio si evolve e se non studi un giorno sei indietro. Non tanto per questo. E’ necessario riuscire ad accrescere il tuo sapere in virtù di quello che fai ogni giorno. Noi abbiamo studiato da una decina d’anni un metodo di lavoro che va sempre più personalizzato per vari fattori. In base alla categoria del settore giovanile, alle caratteristiche dei calciatori, e questo si ripercuote anche in Serie C e Serie D, all’ambiente con cui ti vai a confrontare. Serve un tipo di studio più personalizzato, più specifico. Se volessi studiare tutto non finirebbe mai perché la materia è troppo ampia, infatti la scelta degli allenatori da andare a visitare in questo periodo è moto meticolosa”.
In queste ore nelle passate stagioni eri già a lavoro in ritiro. Adesso questa fase di attesa: qual è la tua ambizione?
“L’ambizione è più un sogno. Perché il sogno si stava concretizzando. Il sogno finale è quello di arrivare più in alto possibile. Dopo un settore giovanile, il sogno è quello di una prima squadra che mi desse quella situazione di calore. Prima molti mi dicevano che per un allenatore proveniente da un settore giovanile è meglio partire con un club senza ambizione e che non crea problemi nel lavorare tranquillamente con i giovani. A me questi luoghi comjuni non hanno fatto mai impazzire. Per questo motivo, quando è uscita l’opzione Campobasso, era un piccolo sogno relizzato. L’ambizione ed il piccolo sogno sono quelli di trovare una società che abbia voglia di crescere, non di vincere per forza, e che abbia tanto calore come città e come tifo”.
Quanto è importante lo staff tecnico?
“Non penso che in categorie minori si riconosca l’importanza di lavorare di staff. Già in Serie D non è facile che una società accetti di far firmare tre, quattro figure che lavorano insieme da sette anni e che sono un unico corpo. E’ questo che mi fa alzare l’asticella. E’ l’importanza per Pasquale Bovienzo di avere lo staff che si è creato da solo. Da anni lavoro con il mio secondo Pasquale Piscitelli, con il preparatore fisico Alfredo Genco, mentre in questa ultima stagione non abbiamo lavorato con il preparatore dei portieri Piero Parascandalo per motivi personali. Ragion per cui avevamo scelto Antonio Verdicchio, ragazzo che fa parte del nostro team di studio”.
Quanto credi che che il lavoro è diverso da subentrante?
“Ne abbiamo parlato con lo staff. Iniziare il primo anno da subentrante non è il massimo. Io sono un tipo che non dico accetta tutto, ma credo che tutto fa esperienza. Vuol dire che doveva cominciare così, quindi ci prendiamo anche questo. Con i miei collaboratori stavamo scherzando che non abbiamo mai avuto un esonero in sette anni, ma nel settore giovanile è molto difficile tranne che non fai i danni. Come primo anno non partiremo dall’inizo, è uno svantaggio che possiamo ritrovare durante la carriera, che hai provato forse quando non eri ancora pronto”.
E’ barcamenata l’idea in testa di tornare nel settore giovanile del Benevento dopo il trasferimento sfumato a Campobasso?
“C’è stato un confronto con la società, con Diego Palermo, Pasquale Foggia: tutti ci sentivamo responsabili di questa problematica. A detta di molti non meritavamo questo comportamento, si è cercato subito una soluzione che doveva essere perlomeno adeguata a quella di Campobasso. Si è parlato di un ritorno a Benevento, ma non c’erano i presupposti né tantomento di fare una forzatura nei confornti di chi si era già organizzato con il settore giovanile. E neanche sotto il punto di vista nostro come voglia di iniziare questo tipo di percorso”.
Da anni porti avanti un tipo di metodologia. Cosa è cambiato rispetto al passato? Sei sempre dell’idea che tale metodologia sarà il futuro del calcio?
“Sarà il futuro se molti allenatori dovessero avere il coraggio di modificare alcune cose, che non è che non vanno più di moda, perché la metodolgia non deve esere una moda, ma il calcio evolvendosi ha dimostrato che, grazie ad alcuni studiosi, si può allenare in un altro modo. Se questi allenatori vecchio stampo dovessero avere il coraggio di modificare qualche idea, che tra l’altro li ha portati a fare bene per tanti anni, allora può essere il futuro. Ora già si vede qualche cambiamento sotto il profilo della metologia, ma io in sette anni ho visto piccoli miglioramenti. Questo non significa che chi allena col metodo tradizionale o tra virgolette con il metodo integrato è indietro e perde, e chi invece lavora con la periodizzazione tattica e con una metodologia in via di evoluzione è vent’anni avanti e vince. La metodolgia non è sinonimo di risultato sicuro. La metodologia è un insieme di comportamenti, un metodo di lavoro. Non è che te lo scegli, è lui che ti scegli una volta che lo hai studiato e dopo non puoi far altro che andargli dietro”.
Diversi ragazzi cresciuti con te sono in orbita prima squadra. Sono presenti ragazzi che hanno la prospettiva della Serie A e B?
“Ce ne sono diversi. Il settore giovanile del Benevento è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi tre anni, sotto tutti i punti di vista. Brignola (ora al Sassuolo in Serie A ndr) ha fatto da apripista, bisogna avere più che altro il coraggio di puntare su questi ragazzi. E’ normale che, se mi metto nei panni di un allenatore di un team che è diventato la Juventus della Serie B, non si può puntare ad un campionato tranquillo e quindi in una società del genere diventa difficile puntare su un ragazzo, per quanto sia di prospettiva. Io credo che chi cresce in un settore giovanile ha dentro il sogno di esordire con quella maglia che lo ha fatto crescere. Questo è sacrosanto ma è diventato molto più difficlle. Un ragazzo deve crescere per puntare a fare la carriera da calciatore. Non esiste solo la squadra che lo ha fatto crescere. Questo l’ho avvertito con i miei ragazzi, che qwuello che fosse il sogno, giocando a vita con quella stessa maglia con cui hai iniziato a giocare a calcio in una certa maniera. Ma come è avvenuto ultimamente con Totti e De Rossi, questo non succede più. Ogni ragazzo deve pensare al suo mestiere, per la società che gli dà fiucia, al di là della categoria”.
Infine immancabile un augurio per l’inizio della stagione del Benevento.
Assolutamente sì. Io penso che Pasquale Foggia abbia fatto un lavoro straordinario, non solo sotto il profilo degli acquisti come nomi, bensì sotto il profilo di aver creato una base importante, in una società che non aveva molti giocatori di propietà. Il Benevento era reduce da una Serie A disastrosa anche sotto il punto di vista di contratti importanti ed ha dimostrato di non essere pronto per quel tipo di salotto. Quest’anno il direttore sta facendo un mercato molto più mirato, gli va dato atto del grande lavoro. L’anno scorso non era obbigato a vincere perchè non è che se scendi dalla Serie A sei per forza la candidata di diritto per tornare in Serie A. Quest’anno, invece, sono tra i favoriti insieme all’Empoli. Credo che hanno preso l’allenatore giusto, non lo consoco e non l’ho studiato benissimo ma so che a questa squadra serviva un allenatore con questo tipo di carattere. Sono molto fiducioso ed auguro al Benevento, alla famiglia Vigorito, a Diego Palermo ed a Pasquale Foggia di vincere ed andare in Serie A. Lo meritano loro e tutta la città”.