La carta d’identità dice 22 aprile 1976, ma per Giuseppe Rosi gli anni sembrano non passare mai. In campo dimostra d’essere il più giovane tra i giovani, uno dei migliori per tenuta fisica e professionale, una vita sui campi di calcio tra Aversa Normanna, Casertana, Sibilla, Puteolana, Formia, Sessana e Vitulazio. Con lo stesso entusiasmo di un ragazzino che s’approccia al calcio per la prima volta, ad inizio stagione “Peppe” è ritornato nella sua Vitulazio dove ha giocato negli ultimi anni dopo la parentesi della scorsa stagione a Sessa Aurunca.
Ritorno a casa. Il rosanero è un colore che gli dona, la piazza vitulatina è letteralmente innamorata di Rosi, ma è un amore contraccambiato: “Ritornare a Vitulazio è stato come stare fuori casa per tanto tempo e non vedi l’ora di rientrare. Grande stima per le persone che gestiscono la società dal presidente a tutti i soci, ma permettetemi di avere un feeling particolare con il dottore Achille Cuccari. E’ anche vero però che quando rientri non trovi sempre ciò che hai lasciato, cambiano gli interpreti e quindi cambia il modo di vedere le cose. So benissimo quello che significa, sono al ventitreesimo campionato e non rimpiango assolutamente la mia scelta, anzi. Obiettivi personali? Nella mia carriera non mi sono mai prefissato obiettivi personali, per me viene prima l’interesse della squadra. Quest’anno non siamo per niente male, tanti giovani interessanti che possono davvero far bene, ma il calcio è strano. Conosco perfettamente quest’ambiente, prima che arrivassi il Vitulazio veniva da due retrocessioni consecutive mentre lo scorso anno la squadra si è salvata solo ai play-out. Nei miei due anni abbiamo espresso ottimo calcio per la categoria arrivando sempre nelle parti alte della classifica senza soffrire e stando spesso in zona play-off. Il merito ovviamente non è solo mio, ma è diviso e condiviso insieme ai tanti ragazzi che hanno fatto parte di quel Vitulazio, dal mister Ricciardi, tecnico preparato ed umile a cui auguro le migliori fortune e so che sarà così, a tutti i ragazzi, solo con un grande spogliatoio si possono raggiungere certi traguardi.”
Voglia matta. Ad aprile Peppe spegnerà quaranta candeline, ma il futuro è ancora in campo: “Per il momento ho ancora dannatamente voglia di correre dietro quel pallone, ma ho la consapevolezza che comunque gli anni sono passati e poichè non riesco assolutamente a pensare di rimanere fuori da questo mondo, il mio mondo, penso proprio che allenerò. Tutto questo però appena mi renderò conto di non averne più sia fisicamente sia mentalmente. Lo scorso anno, al di là di ogni pronostico sopratutto per la mia carta d’identità, penso di aver disputato una grande stagione, mi sentivo bene e stavo bene con tutti i compagni. In più avere apprezzamenti da professionisti veri e straordinari come Dino Fava Passaro ed Alfonso Camorani non è da tutti i giorni, stavo bene con lo staff e soprattutto con la gente di Sessa che mi ha sempre dimostrato il proprio amore sin da subito. Ho ancora i brividi nel ripensare al boato dei tifosi quando dribblavo gli avversari o quando uscivo dal campo ed erano tutti in piedi ad applaudire. Ringrazierò per sempre i tifosi della Sessana, sento ancora il loro calore dentro e forse mai potrò più ricambiare quell’affetto. Ho solo un rammarico, nessun contatto successivo alla chiusura dell’anno sportivo da parte dei gialloblù, ho l’amaro in bocca, ma so perfettamente che il calcio è così. Auguro alla Sessana i migliori risultati possibili, la piazza ed i tifosi meritano il grande calcio.”
Consigli per i giovani. Dall’esperienza calcistica di Peppe è possibile trarre giusti insegnamenti per i calciatori del futuro: “La società odierna è difficile ed i giovani d’oggi purtroppo sono poco propensi al sacrificio; il calcio richiede prima di tutto tantissimi sacrifici. Non basta allenarti bene, il segreto è fare vita sana fuori dal rettangolo verde. Nella mia carriera non ho mai conosciuto un sabato sera, non ho mai conosciuto una gita scolastica e mai un giorno di vacanza tra luglio ed agosto. Poi coi giovani bisogna saper lavorare, rapportarsi in modo adeguato, rispettarlo come si fa con un “anziano” e cercare di insegnare calcio. Senza dare troppe pressioni, il calcio rimane un gioco e come tale va fatto col sorriso, solo così riesci a tirare fuori qualcosa di buono da ogni ragazzo. Se i tuoi ragazzi non ti stimano non ti seguiranno mai e si scocceranno presto di giocare al gioco più bello del mondo, parola di un giovanotto che continua a correre dietro un pallone da qualche annetto con la stessa voglia di quand’ero bambino.”