«Io la mia idea ce l’ho su che tipo di campionato possiamo fare, ma al momento non la dico. Quello che posso dire è che è migliore di quella di Atripaldi e di Molin». Furono queste le parole che alla prima conferenza stampa della squadra, alla prima volta prima di iniziare il campionato, il capitano bianconero Marco Mordente pronunciò a seguito delle numerose richieste su che tipo di campionato si sarebbero aspettati di li a poco. Da quel momento sono trascorsi dieci mesi circa ed ecco arrivare la verità del retroscena, svelata proprio dallo stesso Marco Mordente: «Non voglio certo prendermi meriti che non sono miei o che non sono veri. Era tutta una gag che era saltata fuori al momento tra me Atripaldi e Molin. A questo punto posso ritenere, considerando quanti mi hanno fatto questa domanda da quando è finita la stagione, che è anche ben riuscita. Diciamo che il motivo e l’idea era quello di indurre la stampa a scriverci sopra e a far restare un po’ tutti con il fiato sospeso e a quanto pare cosi è stato».
Ed allora proviamo a rigirare la domanda: pensando ai quei momenti, l’idea reale che ti eri fatto sulla squadra e su che tipo di campionato avrebbe potuto fare, rispecchiano i risultati che avete ottenuto?
«Si e per un po’ di motivi. Prima di tutto perché ero fiducioso nel lavoro che stavano facendo Iavazzi e Barbagallo e delle loro scelte. Con questo mi riferisco alla scelta di Atripaldi che poi ha portato alla scelta di Molin e di conseguenza alla formazione di tutta la squadra comprese le riconferme mie e di Michelori. Questo era sicuramente il dato più importante e che ispirava quella sensazione di positività nei confronti di una stagione in cui sapevamo in fondo di poter fare bene. Numeri alla mano ci è mancato qualcosa, ma di sicuro non si può definire questa stagione in maniera diversa dall’essere una stagione positiva».
Ti sei mai sentito in difficoltà guardando tutta la stagione?
«Ogni volta che vengo intervistato tutti mi chiedono di questa cosa, ma penso che al di là dei numeri personali che non sono dalla mia parte, quello che contava era altro. Era il sacrificio che tutti eravamo chiamati a fare nel cambiare modo di giocare, nel fare gruppo e nel trovare la strada migliore per esprimerci. Abbiamo avuto delle difficoltà, ma alla fine ci siamo riusciti. Il mio obiettivo era arrivare ai playoff e non pensare alle mie statistiche e la sofferenza cestistica dell’ultima sconfitta a Pistoia è ancora viva».
Cosa significa per dei giocatori veterani come te o anche Michelori, essere il punto di riferimento del coach in determinati momenti dove si chiede a chi ne sa di più di sopperire anche alle mancanze fisiologiche che l’inesperienza al campionato o derivante dall’età può determinare?
«Credo che sia la normalità per chi riveste questo tipo di ruolo. Nel mio caso sono stato anche fortunato a non essere l’unico, ma ad avere l’ausilio e l’aiuto di Michelori. La pallacanestro non è fatta sempre e solo di numeri, ma anche di tante cose che non si vedono e sono a quelle cose che si comprendono solo dopo tanti anni che ci stai dentro, che magari si fa riferimento quando si parla di aiuto da parte di un esperto e che fortunatamente in questa società apprezzano tantissimo. E la soddisfazione più grande è vedere poi queste cose assimilate dai tuoi compagni più giovani».
A proposito di compagni più giovani, che effetto ti fa leggere o sentire dalle interviste dei tuoi compagni più giovani che giocare con Marco Mordente vale tantissimo, forse più di una stagione?
«Sono felice e contento perché vuol dire che da parte chi ti ascolta c’è apprezzamento in quello che dici o quello che provi a far loro capire di determinate situazioni, passando magari anche come il vecchio della situazione. Però se poi ci sono questi attestati di stima, vuol dire che qualcosa hai lasciato».
Michelori guardando avanti e alla prossima stagione, partendo dall’esperienza di quest’anno, si augurava un maggiore equilibrio tra concretezza e spettacolarità sei d’accordo?
«Assolutamente si, visto che poi il tutto è rapportano a quello che si fa in campo. L’inesperienza di inizio anno ci ha tolto qualche punto e forse i playoff che erano alla nostra portata quando siamo cresciuti».
Si poteva fare di più in qualche partita?
«Forse nel girone di ritorno con Bologna. Tecnicamente eravamo più forti e se avessimo avuto la stessa fame nel finale forse avremmo vinto».
Classica domanda di fine anno: il momento migliore e quello peggiore della stagione?
«Ovvio che quello peggiore è l’ultima sconfitta a Pistoia, quello migliore la vittoria in casa con Cantù».