E’ arrivato in punta di piedi e forse con una pressione inconsapevole sulle spalle, quella di fare immediatamente meglio del suo predecessore e dare una mano nell’immediato alla propria squadra. Non poco per Ronald Moore che in quattro settimane è riuscito a vivere il mondo della pallacanestro bianconera in quasi tutte le sue sfaccettature. Dalla gioia del derby alla rabbia per la sconfitta a Brindisi al calore del pubblico in un match in cui gli è stato chiesto espressamente di uscire fuori dal gruppo in alcune occasioni perché il tipo di partita e d il tipo di avversario lo richiedeva. Quattro settimane in cui la velocità dell’apprendimento del basket ‘moliniano’, quella dell’integrazione con la squadra e la nuova realtà in cui era capitato, sono andate ad una andatura davvero alta, ma che il folletto di Philadelphia ha affrontato con la calma di chi sapeva di potercela fare, ma soprattutto con la calma di chi sapeva che il contesto che gli stava intorno era pronto a dargli una mano cosi come ha avuto modo di raccontare nella sala stampa di domenica scorsa dopo la vittoria contro Cantù e la sua prima vera partita da protagonista assoluto in campo: «Dal punto di vista umano sono un grande gruppo. L’ultimo arrivato a volte è sempre quello che ci mette più tempo a trovare la strada giusta per integrarsi, ma tutti i miei compagni di squadra mi hanno dato una mano e reso molto più semplice il compito e questo credo che sia merito prima di tutto delle qualità umane di questi ragazzi, prima ancora che tecnici in mezzo al campo».
Ed in mezzo al campo domenica la Juve ha realizzato un vero e proprio colpo battendo una delle prime sei squadre di questo campionato e lo ha fatto giocando un basket prima tecnico e poi mentale nella parte finale. Quale il tuo giudizio sul match?
«E’ stata una partita come ce l’aspettavamo. Una partita difficile per entrambe le squadre, combattuta e nella quale nessuna delle due voleva ed aveva intenzione di lasciare i due punti all’altra. Una partita dove siamo riusciti a prendere un vantaggio nella prima parte di gara, a giocare un buon basket, prima del ritorno di Cantù nel finale. Ma anche in quel momento abbiamo reagito bene, anzi forse è meglio dire che abbiamo gestito bene la situazione, siamo riusciti a trovare immediatamente il modo per controbattere al vantaggio di Cantù e di portare a casa la vittoria».
La sfida nella sfida era proprio quella che ti riguardava su ambo i lati del campo e cioè quella con Joe Ragland. Una sfida che hai vinto nettamente non solo in attacco, ma anche e soprattutto in difesa, dove uno dei migliori playmaker di questo campionato ha sofferto ha trovare la via del canestro…
«Era una delle chiavi della partita. Sapevamo che per Cantù è un giocatore importante e fondamentale, ma soprattutto molto pericoloso nel creare punti per se e per i compagni specialmente se ha molto la palla in mano. In settimana l’abbiamo studiato, l’abbiamo guardato in diverse partite e con il coach abbiamo trovato il modo di tenerlo quanto più possibile fuori dal gioco. Ho fatto del mio meglio per attaccarlo e stargli sempre incollato in difesa e credo che sia andata bene».
Insomma chiudiamo chiedendoti se quello che abbiamo visto contro i brianzoli sia stato già il miglior Ronald Moore, oppure da questo momento in poi il tuo campionato potrebbe riservare anche delle belle e grandi sorprese?
«Non voglio mettermi pressione da solo – racconta con il sorriso sulla faccia –. Faccio di tutto e sto lavorando giorno dopo giorno per fare e dare alla Juve sempre il meglio di me. Dal punto di vista dei numeri e delle statistiche, non sono un qualcosa che mi interessano molto. Quello che mi interessa è se i miei eventuali numeri e quello che faccio in campo è di aiuto alla squadra ed al raggiungimento del nostro obiettivo. Quello che mi interessa è vincere non racimolare statistiche, se arrivano e sono di aiuto tanto meglio».