Sono passati poco più di quaranta giorni dalla gara tra Gladiator e Foggia, partita ad eliminazione diretta valevole per il primo turno dei play-off del Girone H di Serie D e tenutasi domenica 12 maggio 2013. Dell’esito del match già è stato detto tutto, con il Foggia che violò il Mario Piccirillo di Santa Maria Capua Vetere, grazie ad una direzione arbitrale apparsa ai più ambigua, e raggiunse il secondo turno dove peraltro fu eliminato dal Matera. Ma quello che ora ci interessa non è tanto ciò che è accaduto nel rettangolo di gioco, bensì quanto è avvenuto durante e dopo il match sugli spalti ed all’esterno dello stadio. Un comportamento irriguardoso, frutto del confronto con le forze dell’ordine le quali hanno ritenuto di addebitarne le colpe totalmente alla Brigata Spartaco, gruppo cui confluiscono tutte le forze ultras della città del Foro. Occorre, quindi, partire dalla foce e cioè dalla gara. Il primo tempo scorre liscio, mentre nella ripresa il comportamento dell’arbitro innervosì, e non poco, il pubblico sammaritano che perpetuò come prima forma di ribellione un lancio di bottigliette indirizzato alla panchina dei satanelli. Il commissario di campo contò 70 bottiglie di plastica e si divertì nello spogliatoio a stilare il report sul taccuino ufficiale della Lega: a pagarne le conseguenze fu il sodalizio nerazzurro dell’allora patron Lazzaro Luce che subì una giustificata multa salata anche per questo motivo e il primogenito Mario Luce fu squalificato per un anno e mezzo. Molti hanno accreditato l’origine di questo malcostume, tutto sammaritano, alla Brigata Spartaco che, però, in questo centra poco. Tra le poche realtà dotate di mentalità ultras dell’Interregionale, il collettivo sammaritano non si è fatto partecipe della gittata di bottigliette che a Santa Maria Capua Vetere conosce il suo secondo capitolo dopo il fitto lancio, avvenuto appena un anno prima, contro il Città di Messina. Non è colpa loro se altri tifosi, quelli che non si collocano tra gli ultras od aggregati dell’ultim’ora, sono i veri autori di questo gesto (tra i quali rientra anche qualche parente abbastanza focosa di una famiglia locale). Non vi sembra troppo facile incolpare la Brigata quando qualche occasionale, accostato nella stessa zona degli spalti, si è lasciato prendere dalla frenesia e dalla rabbia ed ha mandato una bottiglietta in campo? Altri non si sono posti questa domanda.
La contestazione. Precisato questo punto, ci ritroviamo alla fine del match, quando dopo il triplice fischio dell’arbitro parte la contestazione del pubblico di fede nerazzurra. Come scritto nella denuncia inviata ad un sammaritano, gli ultras della Brigata Spartaco sono stati accusati “di voler entrare all’interno dello stadio per porre in essere aggressioni nei confronti della terna arbitrale e nella circostanza unitamente ad altri si avventava contro il portone d’ingresso al campo, percuotendolo con veemenza e violenza nel chiaro tentativo di abbatterlo, lanciando ancora discriminate minacce all’indirizzo degli operatori di polizia che si ponevano a protezione dell’ingresso, apostrofandoli con epiteti e frasi ingiuriose”. Posizionato all’altezza del cancello che separa il rettangolo di gioco dal cortile degli spogliatoi, dai miei occhi ho potuto constatare la veemenza con cui è stato preso di mira il portone d’ingresso ma, allo stesso tempo, chiedendomi chi potesse essere l’autore di tali gesti mi sono girato nei confronti degli spalti e mi sono accorto che la maggior parte dei componenti della Brigata Spartaco era al lavoro per arrotolare gli striscioni e commentare la gara, in preda alla delusione per l’ennesima stagione buttata al vento. Anche in questo caso la Brigata Spartaco è stata colpevolizzata di ciò in toto, ma va detto che altri sono stati gli esecutori materiali del misfatto. Per sedare tali comportamenti, i carabinieri in tenuta antisommossa sono usciti dal portone ed hanno eseguito un cordone che potesse proteggere l’impianto sammaritano. In seconda battuta si sono aggiunti alla folla di contestatori anche gli ultras che hanno vivacizzato il post-partita, scendendo oltre il consentito solo quando il pullman del Foggia e l’automobile contenente la terna arbitrale è stata raggiunta da sputi e bottigliette.
Le conseguenze. Dopo aver svolto una ricostruzione dei fatti avvenuti nel pomeriggio del 12 maggio 2013, sorge spontanea una domanda. Tali atti possono motivare un DASPO di cinque anni? Ebbene sì, dieci ultras sammaritani hanno ricevuto il Divieto di Assistere a Manifestazioni Sportive per cinque anni da parte della Questura di Caserta (disposizione convalidata dal GIP), accusati di aver commesso i reati penali indicati negli articoli del codice penale 337, 339, 340, 341 cp bis e nell’articolo 7 della legge 401 del 1989 e successive modifiche (il testo degli articoli è inserito in appendice all’articolo). Costoro non potranno assistere alle gare di squadre di calcio professionistiche e dilettantistiche, comprese quelle della Nazionale Italiana ed altri manifestazioni sportive, per cinque anni e, per di più, hanno l’obbligo di firma, cioè dovranno comparire in Questura per ben due volte in occasione della disputa della gare del Gladiator. Di questi, diversi articoli sono decaduti; per difendersi dalle accuse, intanto, i dieci ultras “daspati” si sono avvalsi della difesa giuridica di vari avvocati, chiamati a replicare alle accuse mosse dalla Questura e cercare di limitare quanto più i danni.
Lo strano episodio. Infine, l’articolo termina con un episodio avvenuto nei tempi supplementari e che stranamente non è finito nel mirino degli inquirenti. A pochi minuti dal termine della gara, alcuni componenti della dirigenza invasero il terreno di gioco, stanchi di dover osservare attoniti alla direzione arbitrale per nulla imparziale del direttore di gara nella partita col Foggia, con il chiaro intento di ritirare la squadra dal terreno di gioco. Onde evitare penalizzazioni ed altre sanzioni, i dirigenti desistettero e ritornarono sugli spalti. Coincidenza vuole che, per quest’episodio, non sia giunto alcun DASPO. Eppure l’invasione del rettangolo di gioco è un reato condannato con la diffida (vedasi ciò che è avvenuto al tifoso del Foggia che lo scorso settembre si proiettò in campo per rubare il pallone dal punto di battuta a centrocampo). Ed ora ci si chiede: perché esiste questa differenza di giudizio nei vari casi? La giustizia dovrebbe essere imparziale e non fare differenze tra persone di classe, razza e colore diverso, ma in questo caso questa regola è venuta meno. E’ stato detto che non è stata riconosciuta l’identità di tali personaggi. Strano ma vero.
*Articolo 337 del Codice Penale: Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Articolo 339 del Codice Penale: Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone.
Articolo 340 del Codice Penale: Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [330, 331, 431, 432, 433], cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.
Articolo 341 bis del Codice Penale: Oltraggio a un pubblico ufficiale. Chiunque offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale e a causa delle sue funzioni. La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l’offesa è recata in presenza di una o più persone. La Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 1994, n. 341, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede come minimo edittale la reclusione per mesi sei. (Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.
Articolo 7 della legge 401 del 1989 e successive modifiche (Turbativa di manifestazioni sportive): 1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque turba il regolare svolgimento di una manifestazioni sportive è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquantamila a lire trecentomila19
2. La competenza ad irrogare la sanzione spetta al prefetto ed i proventi sono devoluti allo Stato.
Articolo 7-bis (Differimento o divieto di manifestazioni sportive):
1. Per urgenti e gravi necessità pubbliche connesse allo svolgimento di manifestazioni sportive, il prefetto, al fine di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, può disporre, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato per la circostanza da rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali e del CONI, il differimento dello svolgimento di manifestazioni sportive ad altra data ritenuta idonea ovvero, in situazioni connotate dalla permanenza del pericolo di grave turbativa, il divieto dello svolgimento di manifestazioni sportive per periodi ciascuno di durata non superiore ai trenta giorni.