Tutto ripreso secondo copione, tutto tornado alla normalità come se qualche giorno fa non fosse successo niente. Sedute individuali, sessione di tiro, palestra e clima doppiamente sereno rispetto a una settimana fa, quando la vittoria contro l’Enel brindisi aveva scacciato qualche nuvola di troppo annidatasi sul cielo di Pezza delle Noci dopo la partenza di Deji Akindele in direzione Libano, dove ovviamente non ha ancora messo piede in campo per il mancato nullaosta arrivato proprio dalla squadra della città della Reggia vanvitelliana. Nubi che aveva oscurato quei timidi raggi di sole primaverili insieme a quelle ben più larghe e corpose derivate dal flop legato all’arrivo di Galimberti come socio di maggioranza ed una situazione economico tornata in stato di allerta come qualche mese fa. Nubi, quest’ultime, che hanno perso di densità dopo i sacrifici che il presidente unico, Raffaele Iavazzi, ha fatto e sta facendo per continuare a mantenere in vita ed i piedi il basket bianconero. Ma se Iavazzi è l’emblema del soffio di vento per le nubi societarie, per quelle dei risultati, del campo bisogna allargare anche il raggio di azione. Nove le direzioni diverse dalle quale arrivano,novi differenti soffi di vento ai quali si aggiungono quelli piccoli e giovani della cantera bianconera. Nove ‘Eolo’ in canotta e pantaloncini che in due settimane, anzi facciamo in cinque successi in sei uscite di campionato, hanno dimostrato che la pallacanestro è gioco in cui ilo cuore e le motivazioni contano anche più dei soldi, della panchina lunga o del maggior atletismo. Cinque vittorie in sei partite in cui la Caserta cestistica, dunque, ha fatto cadere o quanto meno messo in discussione alcuni dei ‘dogmi’ di questo sport nel nostro campionato. “Spero che quello che stiamo facendo sia da esempio non solo a Caserta, ma a tutto il movimento cestistico sia per la passione che ci stiamo mettendo, che per una categoria come quella degli italiani che merita una possibilità” aveva dichiarato il capitano bianconero nella settimana immediatamente successiva alla vittoria contro Cantù e Brindisi, quasi come se fosse una sorta di ripetizione voluta. Eppure alla Juve un pizzico di internazionalità è rimasto nonostante le dipartite di Wise, Chatfield ed Akindele. Un pizzico di internazionalità che arriva settimana dopo settimana dalla Lituania e dalle mani di Jonusas (che a Venezia ha messo in scena una delle sue migliori prestazioni in maglia bianconera chiudendo il proprio match a quota 19 punti), dalle mani greche, ma a stelle e strisce di Dan Mavraides, ma soprattutto da quelle serbe di Stevan Jelovac che nel giro di una stagione si è ritrovato a giocare minuti contati ad Antalya, in Turchia, dove faceva a spallate con anche le leggi turche sull’obbligo di giocatori nazionali obbligatoriamente da schierare in campo ogni volta, fino a passare al posto di titolare inamovibile e di baluardo dell’area delle ultime due settimane. Mai un passo indietro per il serbo, mai un problema, ma solo l’accettazione di una nuova sfida. Quella attuale è di tenere botta, in assenza di Michelori, in area nella propria metà campo e fare comunque il proprio dovere nell’altra. Un qualcosa che gli è riuscito egregiamente nella sfida contro Venezia dove non solo è stato la croce dei lagunari da due, da tre e dalla linea della carità, ma anche la delizia del casertani che si sono appoggiati alla sua presenza per scardinare quella 3-2 che Mazzon aveva ideato per mettere ko la Juve, cosi come spiega lo stesso Stevan Jelovac: «In settimana coach Sacripanti ci aveva avvertito di questa possibilità difensiva della Reyer. Sapevamo che ad un certo punto Venezia avrebbe puntato su questo tipo di zona per bloccare i nostri esterni e quindi ci eravamo preparati bene nell’attaccarla. Sia nella settimana di allenamento che durante la partita, ci indicava e ci ha indicato il modo giusto e la soluzione giusta per scardinarla. Una di queste era proprio la mia presenza tra le due linee dove aveva spesso una certa libertà e quindi potevo tirare, segnare o subire fallo».
Prima di continuare l’analisi della sfida in laguna, la domanda nasce spontanea: a questo punto qual è il vostro segreto?
«Nessun segreto, nessuna formula magica o cose del genere. L’unico punto fondamentale di questo periodo che stiamo vivendo è il gruppo. Siamo rimasti in pochi lo sappiamo, ma tutti brave persone e siamo uniti l’uno con l’altro. Non c’è altro e se questo basta per vincere partite importanti come le ultime, allora ci sta bene cosi».
Quale il messaggio che secondo te arriva da questa ‘favola’ bianconera?
«Nessuno in particolare, giusto dimostrare a tutti che nonostante anche la partenza di Akindele, possiamo giocare un basket serio di un certo livello in un campionato duro come quello italiano».
‘Step back’ nella sfida al Taliercio: quale è stata la chiave reale della sfida?
«Non era una partita facile da affrontare o da individuare con una chiave in particolare. Era una di quelle partite in cui devi fare tante piccole cose e farle bene per poi arrivare alla fine con i due punti in tasca. Personalmente credo che la nostra chiave sia l’esperienza di Marco Mordente. In tante occasioni è lui che ci cambia le partite, che ci infonde fiducia e spinge a non mollare e l’ha fatto anche a Venezia».
Ora guardando Avanti c’è Avellino per continuare a credere nei playoff…
«Ci aspetta un’altra partita impegnativa, difficile e che principalmente dovrà essere combattuta con il cuore. Sappiamo quanto sia importanti per i nostri tifosi e forse anche più dei playoff, quindi vogliamo regalare loro un’altra gioia dopo quella dell’andata. Non sarà facile, dovremo svolgere una partita molto simile alle ultime due e quindi lottando fino all’ultimo possesso. Questo di sicuro non ci spaventa, cosi non ci spaventa l’idea di provarci fino alla fine. Siamo distanti due punti, quindi ci proveremo».