Il passato torna inesorabilmente a bussare alla tua porta. Di solito il girone di ritorno ti mette davanti agli occhi un qualcosa – che in quello di andata – verrà ricordato come un momento di giubilo, di sconforto, o uno tipicamente dal gusto amaro con quel pizzico di retrogusto di rammarico che lascia tutti in quella via di mezzo tra il non contenti, ma nemmeno furibondi. Quest’ultimo è il caso di quanto accaduto con la prossima avversaria della Juve, il caso della sconfitta della Juve con Venezia, di una sconfitta arrivata dopo un tempo supplementare guidando anche per gran parte del match e dopo che in settimana quella dei bianconeri contro i lagunari era stata definita come una partenza non handicap, di più. Insomma pronti via e subito il Mortirolo da scalare. Ma non era certo la prima volta che la Juve aveva dimostrato di essere a proprio agio quando la strada si impennava, quando l’asfalto lo si vede dritto davanti agli occhi e non solo per una questione di prospettiva. Insomma una sorta di Pantani della pallacanestro. Solo provando ad accostare la voglia e la determinazione con la quale Caserta ha battuto grandi squadre come Cantù, Sassari e Siena, all’interruttore che scattava nella mente e nelle gambe del mai dimenticato Pirata, si possono spiegare vittorie e successi di peso. Ma con Venezia mancò l’ultimo passo o per restar in tema l’ultimo scatto, quello decisivo per la volata. Eppure l’errore di Zoroski sullo scadere dei regolamentari davanti alla panchina della Juve aveva regalato ai casertani la classica ultima possibilità, la classica ultima occasione che la truppa di coach Sacripanti ha voluto e saputo sfruttare fino a pochi giri di lancette dal termine dell’overtime. Giri di lancette in cui quel tecnico a Stefano Gentile salvò capra e cavoli in casa Reyer che poi ha risalito la china fino ad arrivare a questi quattro punti di vantaggio che sono anche la distanza necessaria per recuperare il terreno verso la post season. Un terreno ed una distanza che vuole assolutamente colmare Giuliano Maresca che nei playoff o quanto meno nella possibilità di provarci fino alla fine ci crede e come: «Dopo tutto quello che abbiamo passato questa stagione non molliamo certo davanti a quello che può essere l’ostacolo più importante da superare. Ci siamo arrivati con le unghie e con i denti, ci siamo arrivati combattendo e vincendo partite di grande livello ed ora non ci vogliamo fermare. Ci presenteremo a Venezia da noni in classifica e quindi non vedo perché non dovremmo giocarcela contro l’ottava che è solo quattro punti avanti. Questa stagione è diventata per noi una sorta di stimolo, una sorta di maggior orgoglio a voler dimostrare di volercela fare contro tutto e tutti. Sarà un’altra sfida impossibile? Ormai ci siamo abituati. Abbiamo vinto una partita con una squadra tutta ‘bianca’ contro una squadra di atleti, possiamo provarci fino alla fine anche contro Venezia. In cuor suo ognuno della squadra sa che questa è la nostra opportunità, è la nostra occasione per regalarci un nuovo obiettivo ed un nuovo traguardo, ma anche per continuare ad essere un esempio per tutto il movimento sia per dedizione ed attaccamento, ma anche per una questione di italiani e di opportunità che si possono dare anche a giovani giocatori come Marzaioli, Sergio o Cefarelli».
Tatticamente cosa vi aspettate?
«Una partita difficile, ma questa è la cosa scontata. Di sicuro una squadra che a differenza di Brindisi sviluppa tanto sugli esterni e che proverà ad attaccarci in quella parte del quintetto in campo. Di sicuro la run and jump messa in scena contro L’Enel ci da la consapevolezza di avere, poi, un’arma importante contro le squadre che vorranno attaccarci in post basso con lunghi di peso. In questo momento può succedere di tutto, ma di sicuro non ci fermeremo».
Da capitano tocca a te chiudere o magari recitare le ultime parole in merito alla questione Akindele…
«Sicuramente non entro e non entrerò mai nel merito della decisione, perché fa parte del nostro mestiere fare delle scelte e poi credo che ognuno si assume le responsabilità di quelle che prende. Ma altrettanto sicuramente il suo addio senza nemmeno un saluto, un in bocca al lupo o un arrivederci ci ha colpito e non poco. Ci siamo rimasti abbastanza male, perché quando ti ritrovi a vivere delle stagioni come questa le difficoltà non fanno altro che unirti e cementare un’alchimia in campo cosi come è successo a noi. Un legame che appunto pensavamo potesse portarlo a salutare prima di andare via dalla Juve e da Caserta».
E di futuro nei giorni scorsi, hai avuto modo di parlare anche davanti a delle telecamere. Il tuo volere, quindi è quello di continuare ad essere un simbolo e magari anche il capitano della Juve?
«E’ una volontà collegata e consequenziale alla magia di cui parlavo in precedenza. In situazioni come quelle di quest’anno oltre al legame tra compagni di squadra e staff tecnico, si crea un legame particolare anche con la società, la città ed i tifosi che ti vedono come un punto di riferimento o una persona su cui contare. La mia speranza è quella che in società si possa risolvere al più presto tutte le situazioni e che si possa parlare di un mio futuro ancora a Caserta».