Esplode la ‘casertanità’ di Stefano Gentile



GENTILELa provenienza sulla propria carta di identità, gli imponeva inconsciamente di dare un segnale. Una provenienza che ha impresso nel cuore, nella mente, nell’anima, ma soprattutto in quel ‘Dna’ cestistico che in pochi possono vantare. Lui ce l’ha e come. Lui che sulle spalle porta il nome Gentile, lui che quell’appartenenza a quei colori, a quel palazzetto e a quei tifosi l’ha vissuta e se l’è portata, anno dopo anno dentro nella buona e nella cattiva sorta, in tutti i suoi anni in giro per l’Italia in compagnia e non del suo papà, che a Caserta c’è cresciuto, ha masticato amaro con le sconfitte pesanti prima di gioire definitivamente con il massimo riconoscimento sportivo in un campionato professionistico: lo scudetto. Purtroppo per lui, Stefano Gentile, uno scudetto non l’ha ancora vinto, ma la prestazione personale di domenica sera contro Brindisi è stato un segnale forte e chiaro di come da ‘casertano’ per quella maglia si va oltre qualsiasi tipo di difficoltà e di gradazione di amaro da masticare. E di amaro i bianconeri di coach Sacripanti, compreso il primogenito di Nandokan, ne hanno masticato abbastanza in una stagione che proprio non vuole vedere arrivare lo striscione di arrivo delle sorprese, ma in negativo. Prima ancora di iniziare l’infortunio di Visser e quindi la prima grana e la scelta di portare all’ombra della Reggia una vecchia conoscenza di coach Sacripanti, Deji Akindele (icona che tornerà d’attualità nella cronistoria delle difficoltà casertane in una singola stagione ndr). Poi gli addii di Wise e Chatfield e quindi una situazione societaria che ha impedito l’arrivo di Chase – finito poi a Cremona – ed un roster che soffre nelle battute iniziali del campionato e che si ritrova in fretta e furia a dover far fronte alle prime defezioni, alla prima idea di coperta corta. Poi gli infortuni, gli arrivi di Mavraides e di Luigi Sergio, sembravano poter dare almeno un’apparenza di rotazioni normali, ma alla fine quando tiri da una parte per coprire un pezzo, irrimediabilmente, se ne scopre un altro. Un tira e molla che è andato avanti per tutto il girone di andata e per buona parte di quello di ritorno che ormai si avvia verso la fine. Eppure nonostante tutto, il senso di appartenenza ha spinto la Juve a superare ostacoli all’apparenza insormontabili. L’arrivo flop di Galimberti, sembrava aver ridato la possibilità di allungare la squadra con degli innesti, ma il boomerang lanciato dal broker bolognese ha portato addirittura a degli addii oltre che una situazione societaria al punto di partenza di qualche mese fa. A lasciare la nave inspiegabilmente dopo vittorie importante contro Cantù, due volte, Sassari e Siena, è Deji Akindele che dopo la trasferta brianzola decisa dal giovane Marzaioli, ha deciso che quella sarebbe stata la sua ultima partita in bianconero. Un altro contraccolpo che avrebbe steso chiunque. Non la Juve, non questa Caserta e sicuramente non questo Gentile che quella maglia la sente cucita addosso e nel momento del bisogno inscena una prestazione cinque stelle lusso caricandosi a turno con i compagni la squadra sulle spalle per condurla fino alla vittoria. «Dovevamo vincere per mandare un messaggio generale – ha commentato lo stesso Stefano Gentile in conferenza stampa post Brindisi -. Siamo in difficoltà e credo che ormai questo sia un dato di fatto sotto gli occhi di tutti, ma che nonostante tutto noi ci siamo, non molliamo, andiamo avanti e non solo col cuore».

Cosa intendi non solo col cuore?



«Il cuore da solo non ti fa mettere il pallone nel canestro. Contro Brindisi abbiamo dimostrato di essere anche un gruppo formato da giocatori di un certo tipo dal punto di vista della pallacanestro giocata, ma soprattutto un gruppo di giocatori che sente un feeling particolare con la maglia e con questa gente. Un qualcosa di raro da trovare altrove per tanti motivi. In effetti potremmo dire che siamo una sorta di eccezione, ma orgogliosi di esserlo».

Attaccamento che poi per te ha un valore particolare…

«Io non faccio testo per ovvie ragioni. Sento l’appartenenza a questa maglia più degli altri, ma un giocatore da solo non fa la squadra. Quello che ci ha contraddistinto, però, è stato l’attaccamento da parte di tutti quelli che sono rimasti. Insieme abbiamo dimostrato di potercela fare, è questa la nostra forza. In tanti pensavano che senza Akindele non avremmo potuto vincere ed invece abbiamo dimostrato il contrario».

Quello che forse non ha sentito Akindele decidendo di andare via. Cosa però non avete gradito?

«Siamo tutti dei professionisti e le offerte allettanti fanno parte del nostro mestiere. Poi sei libero di scegliere se accettarle o meno, ma il problema non sta nella scelta, ma nella comunicazione. Andare via senza dire nulla non è stato certo bello, avremmo apprezzato di più se ci avesse spiegato la situazione e quindi la scelta di andare via, l’avremmo sicuramente compresa».

La salvezza è in cassaforte, Brindisi è stata battuta, ora restano solo i playoff…

«Ora che la salvezza è cosa fatta ci pensiamo come nuovo obiettivo da raggiungere. Il tutto però sempre pensando una partita alla volta. Ora ne abbiamo una fondamentale contro Venezia dal cui risultato capiremo se potremo continuare a sperare oppure no. Passo dopo passo vedremo dove arriveremo, logico che a questo punto una qualificazione alla post season sarebbe la giusta ricompensa per questa squadra».


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