Al termine di una gara che ti vede soccombere per 86-57, fare delle analisi lucide diventa impresa ardua. La tentazione di buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca è tanta. Se si aggiunge poi l’umoralità di una piazza come quella casertana, dove passare dalle stelle alle stalle è davvero un attimo, ecco che il quadro per la truppa di coach Pino Sacripanti finisce con l’essere estremamente negativo. Che la Juve dovesse conquistare la salvezza tra le mura amiche era cosa risaputa, ma, certo, una sconfitta così pesante come quella rimediata a Roma non può non portare a delle attente riflessioni. La prima di queste deve essere legata necessariamente alla tenuta mentale di una formazione colata a picco in maniera clamorosa nell’ultimo quarto, dove è stata capace di incassare ben 33 punti, quasi un record, a fronte dei soli 12 realizzati. Fino al trentesimo, infatti, i bianconeri avevano tenuto botta, dando l’impressione di poter dire la loro sino alla fine, poi il tracollo. L’attacco finisce ancora sul banco degli imputati: 57 punti sono davvero pochi, pur considerando tutte le difficoltà di formazione con le quali ci si era presentati in terra capitolina. In una serata in cui il tiro da tre non è andato poi così male (7/19 per un buon 36% complessivo), la Juve ha fatto flop dalla media distanza, realizzando solo il 41% delle conclusioni tentate. Balza agli occhi poi la cattiva prova a rimbalzo:sotto le plance infatti Gentile e soci hanno concesso 40 carambole agli avversari, raccogliendone soltanto 23. Infine, come non parlare delle 20 palle perse, possessi preziosi regalati ai romani, errori dovuti spesso all’inesperienza, ma non per questo meno incidenti. Insomma, a ben vedere, i numeri parlano di una Caserta surclassata dall’avversario di sempre, eppure i primi tre periodi avevano raccontato una storia diversa. Inutile stare a pensarci troppo a questo punto. Il campionato va avanti, basterà tornare al successo prontamente per dimenticare la capitale e concentrarsi sul futuro.
Pio Carfora